«Quando mia figlia era piccola, mi diceva che i suoi amici le chiedevano perché io andassi fuori a lavorare anziché rimanere a casa, e la mia risposta era che il mondo funziona meglio se tutti facciamo quel che siamo bravi a fare.»
Queste le parole di Donna Strickland, pronunciate durante la conferenza stampa organizzata presso la University of Waterloo per il conseguimento del Premio Nobel per la fisica 2018. Un riconoscimento che dopo 55 anni torna nuovamente a una donna, una delle tante trovatasi a spiegare la “stranezza” di essere, oltre che madre, anche studiosa, professionista, scienziata.
A pochi giorni prima però, risale la notizia di un altro fisico, Alessandro Strumia, che al CERN di Ginevra è intervenuto, durante il convegno «Fisica delle alte energie e gender», per esporre una teoria secondo la quale l’attenzione per le pari opportunità – soprattutto per quanto riguarda la rappresentanza di genere – avrebbe portato a una discriminazione “al contrario”. In altre parole, sarebbero gli uomini a subire atteggiamenti discriminatori per favorire le donne nella fisica, nonostante quest’ultima non sarebbe un settore tipicamente a loro congeniale.
Come era facilmente prevedibile, la presentazione di Alessandro Strumia ha suscitato non poche reazioni, fino a nette prese di distanza sia da parte del CERN e dell’INFN, che lo hanno sospeso, che da parte dell’Università di Pisa, ateneo a cui afferisce, che ha avviato un procedimento etico nei suoi confronti. Oltre alle reazioni istituzionali, sono seguite risposte da parte degli studenti e una petizione con 1600 firme da parte di colleghi contrari alle sue tesi.
Per comprendere la reale portata di queste affermazioni, e di conseguenza del dibattito scaturito, occorrerà ripercorrere brevemente le tappe della vicenda, partendo dalle slide della presentazione.
Analizzando un corpus di circa un milione di articoli scaricati da InSpire (database di prodotti scientifici legati al settore della High Energy Physics - HEP), Strumia afferma che sebbene gli uomini siano più citati delle donne, grazie al loro maggiore merito, le donne sarebbero generalmente assunte con una quantità media di citazioni minore e un anno prima rispetto agli uomini.
Inoltre, mettendo in relazione interessi e abilità nei due generi, conclude che sebbene il quoziente intellettivo sia simile, le donne tenderebbero a scegliere campi umanistici, “dove il confine giusto/sbagliato e buono/cattivo è meno netto”, piuttosto che discipline simili a quelle giuridiche e alle STEM (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica), “dove si trova il potere vero” (slide 6).
Per giustificare l’indiscutibile presenza delle donne nelle scienze, Strumia fa riferimento alla teoria del cosiddetto “2D:4D digit ratio”: le poche donne che sono presenti nella fisica avrebbero l’indice più corto dell’anulare, caratteristica che sarebbe legata a una concentrazione di testosterone nell’utero superiore alla media. Pur riconoscendo che la teoria possa avere qualche limite, il ricercatore ribadisce che asserire l’identità tra i cervelli maschili e femminili, e dunque un’identità di abilità, sarebbe un’operazione puramente ideologica.
Infatti, alla luce dei dati presentati, Strumia sostiene che la tesi dell’esistenza di un mondo maschilista che discrimina le donne sia in realtà una forma di marxismo culturale fondato su un bipensiero di impronta orwelliana (slide 25). In altre parole l’uomo sarebbe oppresso attraverso l’uso di un linguaggio che opera un ribaltamento della realtà rispetto ai dati illustrati nelle slide, presentati come oggettiva fotografia della situazione. Dunque secondo Strumia la lotta alla discriminazione delle donne nelle scienze non sarebbe altro che un complotto femminista, in cui la vittimizzazione delle donne servirebbe invece a discriminare gli uomini attraverso il linguaggio del “politicamente corretto”.
Le obiezioni che si potrebbero fare alla presentazione di Strumia sono davvero molte, a partire dalla implicita confutazione della tesi che egli stesso si propone di difendere.
Affermare in modo lapidario che «la fisica è stata inventata e costruita dagli uomini e non è su invito. Curie etc sono state le benvenute dopo che hanno mostrato cosa sapevano fare, prendendo Nobel etc.» (slide 17) implica, infatti, il riconoscimento di come la fisica sia stata appannaggio degli uomini, i soli a poter permettere la partecipazione delle donne dopo aver dimostrato loro di meritarla. Le donne, prendendo alla lettera le parole di Alessandro Strumia, non avrebbero dunque un regolare accesso alla fisica, se non dimostrando qualcosa agli uomini stessi, vale a dire subendo una discriminazione di genere. In fisica infatti esistono ottimi scienziati di sesso maschile, che tuttavia non hanno ancora vinto un premio, riconoscimento che invece sarebbe necessario per le scienziate donne, affinché possano essere prese sul serio. In altre parole, affermare che nella comunità della fisica siano ammessi uomini molto bravi, ma solo donne straordinarie, implica la presenza di una fortissima discriminazione [1].
Se già questo basterebbe a porsi delle domande sulle tesi riportate, rimane comunque opportuno ricordare come gli argomenti toccati dal fisico costituiscano un vasto campo di studi, condotto da specialisti di settore. Non si vogliono pertanto considerare tutte le possibili obiezioni scientifiche, ma solo riportare la discussione su un terreno comune a tutti i ricercatori: la deontologia.
Ogni ricercatore ha il diritto di esprimere le proprie opinioni, soprattutto su temi di interesse collettivo come quello delle pari opportunità nel mondo scientifico. La libertà di ricerca e di insegnamento sancita dalla nostra Costituzione (Parte I, Titolo II, art. 33) deve essere sempre salvaguardata, anche quando si propongono tesi e teorie controverse. Tuttavia, non è ammissibile che queste opinioni vengano avanzate senza il supporto di un rigoroso approccio scientifico. Oltre allo studio approfondito della letteratura, includendo la citazione di studi a sostegno di tesi diverse dalla propria, la ricerca richiede una profonda onestà intellettuale: chi se ne occupa sa quanto facilmente esperienze e aspettative personali possano interferire con la corretta conduzione di uno studio. Nei casi in cui si parla di temi diversi da quelli di propria competenza, il metodo scientifico costituisce l’unica possibilità di prevenire le semplificazioni, a patto di usare la massima cautela per tenere conto della complessità insita nei diversi campi di ricerca. La semplificazione è invece propria di altri domini, come, per esempio, quello delle pseudoscienze.
In questo senso, appare stravagante come lo studioso non sembra aver tenuto in alcun conto la lunga storia culturale che ha contrassegnato la posizione della donna nella società, ripercorsa recentemente da Paolo Ercolani nel suo libro Contro le donne, e di cui si inizia a prendere consapevolezza con Mary Wollstonecraft nel 1792, con il suo A Vindication of the Rights of Woman, e con Olympe de Gouges, che nel 1791 pubblica la Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne, sul modello della versione al maschile pubblicata qualche anno prima.
Una storia che arriva fino ai nostri giorni, con una percezione alterata delle abilità delle ragazze nei settori STEM, spesso interiorizzata dalle ragazze stesse, come spiegato in questo articolo della BBC.
D’altra parte, un recente studio pubblicato su Nature Communications indica che il maggior grado di variabilità riscontrato nei voti scolastici e universitari dei maschi non spiega la prevalenza degli uomini rispetto alle donne nelle discipline STEM. E per poter essere realmente attuale, questo discorso non può prescindere da un allargamento della prospettiva, per passare dalla visione dualista maschio-femmina a una visione pluralista, problematizzando la questione come fa qui Erin Giglio, in risposta a un caso analogo a quello di Alessandro Strumia, avvenuto in una sede di Google nel 2017.
Si può quindi ragionevolmente affermare che Alessandro Strumia abbia utilizzato la propria posizione di ricercatore in fisica per riportare una sua opinione personale, sostenuta con metodi discutibili e con una prospettiva parziale. Il ricercatore presenta infatti sé stesso come caso di discriminazione, descrivendo il caso di due sue colleghe assunte con una quantità di citazioni inferiore alle sue (slide 15). Scegliere solo quei dati utili a dimostrare la propria tesi significa compiere, di fatto, un’operazione di cherry picking [2].
Se il contesto sociale attuale si caratterizza per la crescente sfiducia nella scienza e per la parallela diffusione di teorie pseudoscientifiche, sarà dunque bene ricordare che il confine tra scienza e pseudoscienza è rappresentato precisamente dal metodo. Di conseguenza, il fatto che un ricercatore sostenga una tesi su un tema socialmente delicato senza prestare sufficiente attenzione al metodo costituisce una leggerezza che potrebbe avere implicazioni molto più gravi di quel che sembra.
Il tema delle pari opportunità merita una discussione seria, ampia e sistematica, che non resti sul piano ideologico, ma che investa ogni aspetto da considerare - biologico, culturale, sociale, economico – alla base della distribuzione dei generi nella ricerca scientifica, poiché analisi superficiali del problema portano a soluzioni che possono apparire parzialmente risolutive, ma che in realtà lo aggravano.
Secondo Donna Strickland, premio Nobel per la fisica, dedicarsi alle proprie passioni e fare quel che riesce meglio significa contribuire, implicitamente, al miglioramento della società. Ne segue che affinché ciò sia realizzabile, è necessario garantire pari opportunità per tutti gli individui.
La ricerca e l’accademia hanno il compito di progredire, attraverso il capitale umano costituito da ricercatori e ricercatrici; non può pertanto permettersi di perdere potenziali risorse per la propria crescita su motivazioni non adeguatamente supportate da fatti incontrovertibili. Sempre fino a prova contraria.
Note:
[1] Strickland ha vinto il Nobel 2018 per il suo primissimo articolo, pubblicato nel 1985.
[2] la locuzione cherry picking, letteralmente “raccogliere ciliegie”, indica una fallacia logica che consiste nell’ignorare, in modo conscio o inconscio, alcuni dati che indeboliscono la tesi che si vuole sostenere e nel citare solamente i dati che la confermano.
Pubblicato Lun, 15/10/2018 - 11:50
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