Tanto per semplificare la vita ai dottorandi, l’art. 12 del DM 45/2013 indica tra i loro doveri un “impegno esclusivo e a tempo pieno”, dicitura che è stata tradotta da molti atenei nel divieto assoluto per ogni dottorando di svolgere una qualsiasi attività lavorativa contemporaneamente al dottorato. Si tratta di un vincolo assurdo e particolarmente odioso nel caso dei dottorandi senza borsa. Già gravati da una tassazione non di rado ingente, questi ultimi, secondo l’interpretazione restrittiva della norma, dovrebbero essere privati anche della possibilità di provvedere al loro sostentamento. Una simile condizione introdurrebbe nel dottorato italiano intollerabili condizioni di iniquità, dal momento che la frequenza ai corsi verrebbe di fatto consentita solo a chi è provvisto di strumenti e risorse, nel mentre gli altri verrebbero condannati all'abbandono del percorso di formazione o, peggio ancora, al lavoro nero e allo sfruttamento.
Cosa abbiamo fatto
Grazie a una nostra mozione in CNSU e a un lavoro di pressione sugli uffici ministeriali, abbiamo ottenuto che il MIUR attenuasse sostanzialmente questo vincolo, chiarendo che debba essere il collegio docenti a valutare caso per caso l’eventuale incompatibilità dottorato-lavoro “senza che questo determini un comportamento lesivo di diritti tutelati a livello costituzionale, quali il diritto allo studio per i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi”.
Cosa vogliamo fare
Grazie all’impegno dell’ADI, il MIUR ha corretto la mira, ma siamo consapevoli che per far applicare l’interpretazione ufficiale della norma sarà necessario un costante lavoro di controllo e monitoraggio, ateneo per ateneo. Per questo la rappresentanza in CNSU rimane di vitale importanza anche quando si è riusciti a ottenere un risultato: vigilare sull’effettivo rispetto delle regole e segnalare tempestivamente e direttamente agli uffici competenti del MIUR casi di cattiva condotta rappresentano due aspetti imprescindibili per rendere effettiva la conquista di questo diritto.