Caso Patrick Zaki: tenere alta l'attenzione sul regime di al-Sīsī. Il commento del Team Diritti Umani

Le foto che vedete in questo video sono ricavate da una nostra iniziativa a sostegno di Patrick Zaki del dicembre 2020. Le riproponiamo perché ora che Patrick è stato scarcerato non dobbiamo disperdere le attenzioni su quanto sta accadendo all'ombra del sanguinario regime di al-Sīsī: non solo l’ingiusto processo a suo carico va avanti, ma continuano ad essere innumerevoli le violazioni dei diritti umani a danno di chi, come lui, è stato/a privato/a della propria libertà e recluso/a nelle carceri egiziane. Per questo motivo, vogliamo far sentire la nostra voce e ribadire il nostro sostegno a chi sta pagando con la prigione l'inalienabile diritto alla libertà. Le tematiche e gli aspetti su cui vorremmo puntare il focus sono molte.

Dal report annuale 2020-2021 di Amnesty international si evince chiaramente che nel 2020 l'Egitto ha sistematicamente violato in maniera ampia ed evidente i diritti umani fondamentali. Innumerevoli sono state le violazioni nei riguardi della libera espressione e riunione umana: le esigue proteste di settembre e ottobre contro la situazione economica disastrosa sono state represse tramite arresti e detenzioni. Centinaia di manifestanti e passanti sono stati arrestati e detenuti in attesa di essere indagati per “terrorismo” e altre accuse legate alle proteste. Oltre a ciò, centinaia di siti di notizie o che pubblicavano contenuti sui diritti umani sono rimasti oscurati. Anche le persone che condividevano e diffondevano informazioni riguardanti la situazione egiziana hanno subito gravi conseguenze: Bahey el-Din Hassan, il direttore dell’Istituto del Cairo per gli studi sui diritti umani, è stato condannato in contumacia da un tribunale competente per terrorismo a 15 anni di carcere in relazione ad accuse come “oltraggio alla magistratura” e “diffusione di notizie false”, per avere twittato informazioni riguardanti le violazioni dei diritti umani in Egitto. Le autorità hanno arbitrariamente detenuto decine di lavoratori e sindacalisti, solo per avere esercitato il loro diritto di scioperare e protestare pacificamente. A settembre, nella città di Shebin al-Kom, le forze di sicurezza hanno arrestato almeno 41 lavoratori di un’azienda tessile di proprietà statale, che protestavano per gli arretrati di stipendio ancora in sospeso. Sono stati tutti rilasciati 10 giorni dopo. Anche sulla gestione della situazione pandemica il governo ha cercato di oscurare e mettere a tacere ogni forma di dissenso da parte di sanitari le autorità hanno arbitrariamente arrestato almeno nove operatori sanitari che avevano sollevato problematiche in materia di sicurezza o criticato sulle piattaforme dei social network la gestione della pandemia da parte del governo, trattenendoli quindi in stato di fermo in attesa d’indagini per accuse di “terrorismo” e “diffusione di notizie false”. Altri sono stati sottoposti a minacce, vessazioni e misure amministrative di carattere punitivo.

Il controllo sull’utilizzo dei mezzi informatici è stato ancora più stringente per le donne, le autorità hanno intensificato il giro di vite sulle donne influencer attive sui social network per il modo in cui vestivano, agivano e guadagnavano denaro su applicazioni come TikTok, perseguendone penalmente almeno nove per accuse di “indecenza” e “violazione dei princìpi e dei valori familiari”. Almeno sei sono state condannate a pene variabili dai due ai sei anni di carcere.

Per quanto riguarda le minoranze religiose, si segnalano gravi violazioni: i membri di minoranze musulmane, atei, cristiani e altri sono stati perseguiti e incarcerati per blasfemia o accuse di “terrorismo”. A giugno, due uomini sciiti sono stati condannati a un anno di reclusione per avere praticato la loro fede. Ad agosto, le forze di sicurezza hanno arrestato lo scrittore coranista e blogger Reda Abdel-Rahman, sottoponendolo quindi a sparizione forzata per 22 giorni, in quella che è parsa essere una rappresaglia per gli scritti religiosi e politici di un suo parente in esilio. È rimasto sottoposto a detenzione cautelare.

Altrettanto repressivo è stato il trattamento rivolto verso gli appartenenti a persone facenti parte di importanti Ong che si occupano di tematiche afferenti ai diritti umani: di questi almeno 31 sono soggetti a divieto di viaggio all’estero 10 hanno subito anche il congelamento dei beni patrimoniali: oltre ai tre dirigenti dell’Eipr c’è il fondatore e attuale direttore ad interim HossamBahgat; e inoltre Mozn Hassan del Centro “Nazra” per gli studi femministi, Mohamed Zaree dell’Istituto del Cairo per gli studi sui diritti umani, Azza Soliman del Center per l’assistenza legale alle donne, Gamal Eid della Rete araba d’informazione sui diritti umani, Aida Seif el-Dawla del Centro “Nadeem per la riabilitazione delle vittime della violenza e della tortura” e RamyShaat del movimento Boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Si segnala soprattutto la totale arbitrarietà delle condanne, dei processi e degli atti giudiziari eseguiti. Tali atti sono giustificati dagli emendamenti apportati a febbraio alla legislazione antiterrorismo, che consentivano alle autorità giudiziarie d’indicare come “terroristi” entità e singoli individui unicamente sulla base d’indagini condotte dalla polizia e senza che si fossero necessariamente verificati “atti di terrorismo”. Sulla base di questi emendamenti, i giudici distrettuali competenti per terrorismo hanno inserito i politici Zyad el-Elaimy e AbdelmoniemAbouelfotoh, oltre agli attivisti RamyShaath e Alaa Abdelfattah e il difensore dei diritti umani Mohamed el-Baqer, nella “lista dei terroristi” stilata dall’Egitto, valida per cinque anni, senza udienze o rispetto delle procedure dovute. Migliaia di persone sono state arbitrariamente detenute solo per avere esercitato i loro diritti umani o sulla base di procedimenti giudiziari gravemente iniqui, compresi i processi collettivi e quelli davanti a tribunali militari. Le autorità hanno inoltre minacciato, interrogato e arbitrariamente detenuto familiari di dissidenti in esilio. Un tribunale ordinario ha condannato a morte 37 uomini al termine di un processo collettivo iniquo. Molti degli imputati erano stati sottoposti a sparizione forzata per mesi, percossi, torturati tramite scosse elettriche o sospensione prolungata per gli arti, prima dell’inizio dei processi.

Non sono questi gli unici esempi che dimostrano che anche per quanto riguarda i metodi usati per le indagini e processi, le violazioni in merito dei diritti umani sono state innumerevoli: le autorità hanno sottoposto centinaia di detenuti, compresi prigionieri di coscienza, a sparizione forzata in località sconosciute. La tortura è rimasta dilagante nei luoghi di detenzione ufficiali e informali. Gli imputati arrestati in relazione alle proteste di settembre hanno riferito ai pubblici ministeri di essere stati percossi e sottoposti a scosse elettriche dalle forze di sicurezza. L’autorità giudiziaria ha regolarmente omesso di aprire indagini a carico di agenti dell’agenzia per la sicurezza nazionale (National Security Agency – Nsa) in merito alle segnalazioni di tortura e sparizione forzata. La situazione e la gestione delle carceri appare altrettanto drammatica: le autorità hanno negato ai prigionieri l’accesso a cure mediche adeguate, in alcuni casi anche per punire deliberatamente i dissidenti. Almeno 35 detenuti sono deceduti in carcere o poco dopo il rilascio, in seguito a complicanze mediche e, in alcuni casi, per la negazione di cure adeguate; le autorità non hanno svolto indagini indipendenti o efficaci sulle cause o circostanze dei loro decessi. Il trattamento riservato ai condannati si è esteso anche ai parenti e sostenitori di prigionieri che avevano espresso preoccupazione per la loro salute per la cattiva gestione della pandemia nelle carceri, che sono state arbitrariamente arrestate e vessate dalle autorità.

Da tutto questo si evince che la questione Patrick Zaki è stata certamente una violazione ai diritti umani gravissima, ma essa rappresenta solamente una punta di un iceberg che il governo vuole con ogni mezzo tenere sommersa. Il nostro dovere umano e il nostro intento è quindi quello di cercare più possibile di fare luce su queste vicende, aumentando e sostenendo il dibattito pubblico; per far sì che questo iceberg immenso emerga e per far sì che finalmente si arrivi ad una maggiore presa di posizione anche da parte delle autorità e degli enti che continuano a collaborare e a intrattenere rapporti internazionali di collaborazione con l’Egitto.

Team Diritti Umani