Il 29 dicembre 2022 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto legge 29 dicembre 2022, n. 198, che, al comma 1 dell’articolo 6, proroga la facoltà di bandire assegni di ricerca.
L’assegno di ricerca rappresenta a un tempo l’elemento portante e la forma-tipo della precarizzazione del lavoro nel sistema universitario. ADI ha sempre espresso una forte critica nei confronti dello strumento dell’assegno, per via della sua intermittenza e per le indegne condizioni retributive-previdenziali che lo caratterizzano. La riforma del preruolo di giugno 2022, pur non rappresentando la soluzione alle rigidità strutturali storiche del sistema universitario italiano, attraverso l’introduzione del contratto di ricerca e il riordino della disciplina del ricercatore a tempo determinato consentiva un primo cambio di passo rispetto alla logica precarizzante della legge Gelmini.
Abbiamo chiesto a più riprese che questo intervento migliorativo delle condizioni di lavoro delle precarie e dei precari della ricerca fosse accompagnato dal necessario rifinanziamento del sistema universitario italiano per evitare l’espulsione di tanti colleghi, un impegno che si è concretizzato, da ultimo, con l’elaborazione di una serie di emendamenti alla legge di bilancio, che sono stati fatti propri da alcune forze politiche di opposizione, segnalati in fase di discussione alla Camera, ma dichiarati inammissibili o respinti dalla maggioranza.
La proroga di un anno della facoltà di bandire assegni di ricerca è diretta conseguenza della mancanza di volontà politica da parte dell’attuale esecutivo di finanziare degnamente la boccheggiante università italiana, scaricando sulle vite delle precarie e dei precari, come ormai da anni, la tenuta complessiva del sistema. Nel quadro del mancato stanziamento di nuove risorse, tuttavia, la proroga consente di evitare che l’applicazione della riforma si traduca nell’interruzione del percorso universitario di molti nostri colleghi e colleghe.
La proroga non deve rappresentare però un rinvio sine die dell’applicazione della riforma del preruolo introdotta nel giugno scorso. Non è ammissibile dover scegliere tra mantenere un posto di lavoro purchessia e veder migliorare le proprie condizioni lavorative. Chiediamo fermamente che si usi questo accresciuto margine temporale per definire al più presto in sede di contrattazione collettiva nazionale il trattamento economico del contratto di ricerca e per giungere all’approvazione dei regolamenti di Ateneo, auspicabilmente in un quadro che sia armonioso a livello nazionale. Inoltre, questa finestra deve essere impiegata per dare corpo al necessario intervento generale di rifinanziamento del sistema universitario italiano, così da permettere la piena applicazione della riforma del preruolo.
Da ultimo, è necessario che le Università inizino a bandire i nuovi contratti di ricerca, capaci di fornire maggiori tutele e un miglior trattamento economico rispetto agli assegni, già a partire dal 2023. Non c’è, dunque, alcuna ragione per cui la proroga sia generalizzata ed estesa a tutte le linee di finanziamento. Dal momento in cui la figura del contrattista di ricerca sarà disciplinata in sede di contrattazione collettiva nazionale, riteniamo che sia necessario vincolare le risorse straordinarie dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza all’assunzione attraverso lo strumento del contratto di ricerca. Trattandosi di fondi aggiuntivi, un tale intervento non ridurrebbe il numero di posizioni esistenti, ma permetterebbe invece di accompagnare la transizione e favorire l’applicazione della riforma del preruolo. In particolare, riteniamo fondamentale che i progetti PNR e PRIN che saranno banditi nel 2023 a valere su fondi PNRR, per il valore complessivo di trecento milioni di euro, abbiano una dimensione di seicento mila euro ciascuno, in luogo degli attuali quattrocento mila, di modo da consentire l’assunzione di due contrattisti per progetto. Sui cinquecento progetti finanziati, ciò si tradurrebbe in un migliaio di posizioni da contrattista di ricerca, che potrebbero iniziare ad assorbire una parte degli assegni in scadenza, senza contribuire al contempo all’inflazione degli assegnisti che si verificherebbe altrimenti. Parallelamente, ciò favorirebbe la necessaria riforma dei regolamenti PRIN, di modo da prevedere la nuova figura del contrattista.
Se proroga proprio deve essere, che non sia un liberi tutti.
Pubblicato Ven, 06/01/2023 - 12:12
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