Memoria scritta dell’ADI - Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia relativo al disegno di legge A.S. 1240, recante “disposizioni in materia di valorizzazione e promozione della ricerca”, e collegati (A.S. 148, 1293).
Condivisa ed esposta in data 26 novembre 2024 alla VII Commissione Cultura e patrimonio culturale, Istruzione pubblica, ricerca scientifica, spettacolo e sport del Senato della Repubblica.
Onorevoli senatori, onorevoli senatrici,
In data 20 settembre u.s., su iniziativa dell’on.le Ministra dell’Università e della Ricerca, sen. prof.ssa Anna Maria Bernini, il Governo presentava il disegno di legge A.S. 1240 recante «disposizioni in materia di valorizzazione e promozione della ricerca».
Va da subito premesso il testo in esame nasce gravato da una pesante ipoteca. La summenzionata ministra nominava, infatti, attraverso Decreto ministeriale 5 ottobre 2023, n. 1310, presso il Ministero dell’Università e della Ricerca (d’ora in avanti MUR), un gruppo di lavoro al fine di «formulare proposte per il riordino, il coordinamento e la razionalizzazione delle norme vigenti in materia di contratti e assegni di ricerca». Oltre alla tanto vistosa quanto discutibile prassi di superare mediante nomine cooptative gli organi ministeriali opportunamente deputati alle funzioni consultive presso il MUR, quali il Consiglio universitario nazionale e il Consiglio nazionale degli studenti universitari, si ravvisa come detto gruppo di lavoro sia stato costituito nella totale assenza della componente ricercatrice, non già precaria - dottorandi, assegnisti di ricerca, ricercatori a tempo determinato di tipo A -, ma anche strutturata o in tenure. Come stabilito all’art. 1 del D.M. 1310/2023, il gruppo di lavoro muoveva verso tre direttrici: riordino, coordinamento e razionalizzazione delle norme che regolano il cd. preruolo universitario, definendo con esso quel periodo che intercorre tra il conseguimento del titolo di dottore di ricerca e la chiamata nel ruolo di professore di II fascia ex artt. 18 o 24, commi 5-6 della legge 30 dicembre 2010, n. 240.
Alla luce di tale iniziativa, sarebbe apparso opportuno proporre una riflessione sui principi e sugli obiettivi che avrebbero dovuto informare il suddetto riordino normativo, al fine di perseguire una disciplina coerente, organica e aderente ai bisogni del sistema della ricerca e alle istanze di tutela dei soggetti coinvolti, in primis la comunità dei ricercatori e delle ricercatrici che a vario titolo svolgono attività didattica e di ricerca all’interno delle università italiane, segnatamente sulla base della pletora delle posizioni lavorative permesse dall’ordinamento universitario di cui alla l. 240/2010.
L’azione di riordino, coordinamento e razionalizzazione avrebbe dovuto prioritariamente perseguire l’implementazione di un sistema di reclutamento ciclico, ordinato, strutturato e inderogabile, conforme ai più elevati standard europei e basato su un’effettiva valutazione del fabbisogno assunzionale – nazionale e locale – degli atenei in Italia, anche alla luce del riassorbimento del cd. precariato storico e di una seria politica di incremento del numero di laureati in Italia e della qualità dell’offerta formativa. Tanto più che appare ormai evidente quanto l’incremento del numero di borse di dottorato e di posizioni da ricercatore a tempo determinato di cui al precedente art. 22, comma 3, lett. a (RTDa), previsto dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), non sia stato accompagnato da misure idonee a garantire una traiettoria professionale chiara, dignitosa e sostenibile nel lungo periodo, spingendo gli atenei, storicamente sottofinanziati, a impiegare al massimo una forza lavoro strutturalmente precaria senza avere allo stesso tempo un’idonea pianificazione in grado di riassorbire i talenti formatisi grazie alle episodiche risorse del PNRR.
L’abolizione dell’assegno di ricerca, sostituito in forza dell’intervento della legge 29 giugno 2022, n. 79, dal contratto di ricerca di cui al novellato art. 22, l. 240/2010, costituisce un progresso necessario, più volte richiesto dalla scrivente Associazione e da tutta la comunità dei precari e delle precarie della ricerca.
Tale necessità, sentita come un’urgenza, nasceva dal costante ascolto che questa Associazione ha praticato verso l’intera categoria, tramite la produzione di due diverse indagini: come rilevato nella IX Indagine ADI, contenente rilevazioni inedite sulle condizioni di vita e di lavoro degli assegnisti di ricerca nel comporta pubblico italiano, attraverso un questionario somministrato nei mesi di novembre e dicembre 2019 sulla base di oltre 2.000 risposte fornite dagli stessi, cioè del 15% del totale nazionale, l’assegno di ricerca presenta preoccupanti criticità, prima tra tutte l’intermittenza. Nel 27% dei casi, all’assegno segue un periodo di disoccupazione prima dell’inizio del successivo, con picchi del 31% e del 33% rispettivamente al Centro e al Sud-Isole. Nel 55% dei casi, i periodi di disoccupazione superano i sei mesi. Pervertendo la connotazione volta all’esclusivo svolgimento di attività di ricerca, il 77% degli assegnisti dichiara di svolgere attività di docenza a titolo gratuito, nelle more di una condizione lavorativa che spinge il 53% dei rispondenti a oltre 40 ore di lavoro settimanali. Il 67% dei rispondenti intenzionati ad avere figli dichiara di aver sospeso il proprio progetto di genitorialità in attesa di condizioni di vita più stabili.
Alla IX Indagine ADI faceva seguito l’Indagine conoscitiva sulla condizione di studentesse e studenti nelle università e sul precariato nella ricerca universitaria, approvata all’unanimità dalla VII Commissione del Senato nel corso della XVIII Legislatura. In tale sede, si additava l’assegno di ricerca come autentico paradigma di precarietà, strumento strutturalmente sprovvisto di qualsivoglia meccanismo di continuità di carriera nonché di idonee garanzie contrattuali minime e uniformi, dipendente per di più dalla disponibilità di risorse di ateneo e – dato ancor più grave – dalle specifiche esigenze dei finanziatori esterni. La proposta ivi contenuta e sostenuta unanimemente dai vari portatori di interesse era l’istituzione di un’unica figura post-dottorale, inquadrata in un rapporto di lavoro di tipo subordinato, sostitutiva sia dell’assegno di ricerca che del contratto da ricercatore a tempo determinato di tipo A (cfr. Indagine conoscitiva Senato 2021, p. 94).
L’istituto del contratto di ricerca, tradottosi poi nelle disposizioni di cui alla l. 79/2022, è stato dunque ri-ordinatorio rispetto al panorama delle figure del pre-ruolo universitario, attuando una semplificazione del sistema di reclutamento attraverso una sola figura preruolo precaria, che ha affiancato una sola figura da ricercatore a tempo determinato in tenure track (cd. RTT), idonea all’immissione nel ruolo di professore associato allorquando il titolare della posizione sia in possesso dell’abilitazione scientifica nazionale.
Il preruolo universitario avrebbe così subito notevoli mutamenti: il contratto di ricerca, di durata almeno biennale e conferibile solo a soggetti con il titolo di dottore di ricerca, prevede l'instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato, con le tutte le tutele giuslavoristiche, previdenziali e assistenziali di cui l’assegno di ricerca era strutturalmente privo. La retribuzione, non inferiore a quella del ricercatore confermato a tempo definitivo, è stata stabilita in sede di contrattazione collettiva.
La figura dell’RTT, di durata sessennale e accessibile con il solo requisito del dottorato di ricerca, valorizza il giovane dottore di ricerca subito dopo il conferimento del titolo. Da ciò deriverebbe un più cosciente impiego delle risorse economiche e della forza lavoro, premiando soggetti che abbiano già completato con successo il percorso di dottorato e riducendo la durata del precariato universitario a un massimo di dieci anni, contro i precedenti quattordici. Ciò risponde anche all’esigenza di abbassare l’età media del personale universitario, attualmente di quarantun’anni per un RTD-b, figura prevista per l’immissione nel ruolo di professore associato.
Come mostrato in Fig. 1, il sistema pre-ruolo precedente alla l. 79/2022 ha provocato un drammatico e costante aumento dell’età media dei ricercatori a tempo determinato di tipo a e di tipo b, con grave e generale nocumento per la qualità della didattica e della ricerca erogate e a danno dei soggetti più capaci e meritevoli che il sistema-Paese è in grado d’esprimere.
(Fig. 1, elaborazione ADI su dati USTAT-MUR)
Complessivamente, si nota infatti che l’età media degli RTD è cresciuta annualmente dal 2011 da 37 a 40 anni, con un’età media di circa 43 anni al momento del passaggio al ruolo di professore associato. Considerato che l’età media al momento del conseguimento del titolo di dottorato è di circa 31 anni, la durata della fase di precariato post-dottorale si è quindi progressivamente avvicinata al limite dei 12 anni previsto dalla legge 240. Il basso numero di posizioni stabili non consente la complessiva stabilità del sistema, ma porta a un continuo innalzamento dei requisiti di accesso, con un serbatoio di precarietà storica sempre più capiente e, allo stesso tempo, più escludente per coloro i quali vengono da ultimo avviati al lavoro di ricerca tramite il conseguimento del titolo di dottore di ricerca: si tratta di un autentico esercito dottorale di riserva.
L’inerzia nell’attuazione della normativa sul preruolo, imputabile a precise scelte politiche, manifesta una disattenzione persistente nei confronti delle condizioni di lavoro, del benessere e delle prospettive di carriera dei giovani ricercatori, che costituiscono la colonna portante del sistema universitario e della ricerca in Italia.
Le norme in discussione non solo rivedono il preruolo universitario, come avrebbe dovuto configurarsi attraverso la piena (e mancata) attuazione della l. 79/2022, ma anzi lo peggiorano radicalmente e strutturalmente.
Il disegno di legge in esame prevede l’introduzione di quattro nuove e ulteriori figure para-contrattuali (borse di assistenza alla ricerca junior e senior, contratto post-doc, professore aggiunto), caratterizzate da una flessibilità persino superiore rispetto a quelle abolite dalla l. 79/2022, accostandole al contratto di ricerca e alle borse di studio destinate allo svolgimento di attività di ricerca post-laurea. Tale previsione appare suscettibile di prolungare ulteriormente la durata del percorso preruolo e di svilire il lavoro intellettuale della comunità dei ricercatori e delle ricercatrici, attraverso strumenti contrattuali privi delle adeguate garanzie giuslavoristiche riconosciute in tutti i Paesi europei e in quelli extraeuropei con cui l’Italia e l’Europa sono maggiormente in competizione.
Non emergono, nel testo proposto, disposizioni atte a prevenire scenari in cui tali nuove figure possano essere utilizzate in maniera pressoché continuativa e cumulativa per inquadrare un medesimo soggetto, compromettendo la linearità e la coerenza del percorso accademico. Si ravvisa, al contrario, il concreto rischio che la combinazione tra le limitazioni di bilancio derivanti dai tagli lineari al Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), previsti dalla Legge di bilancio 2025 in discussione, e il reclutamento precario necessario per far fronte alle ineliminabili esigenze di ricerca e didattica dei dipartimenti, inneschi dinamiche di dumping mediante l’utilizzo sistematico delle nuove fattispecie para-contrattuali, segnatamente di quelle meno tutelanti e peggio retribuite.
Particolarmente critica risulta la posizione degli assegnisti di ricerca e degli RTDa finanziati attraverso i fondi del PNRR, i quali potrebbero essere i primi a conoscere l’espulsione dal sistema universitario per effetto del combinato disposto del termine dei flussi di finanziamento straordinari e dei limiti dall’anno solare del conseguimento del titolo di laurea magistrale ovvero di dottorato di ricerca. Tanto più che tutte le forme di preruolo ad oggi disponibili non possono essere conferite a chi ha già beneficiato di un contratto da RTDa. Appare dubbio, quindi, che le nuove figure introdotte siano state concepite quale strumento per trattenere tali professionalità all’interno degli atenei, benché attraverso inquadramenti che risultano del tutto incongrui e lesivi della qualificazione professionale acquisita, con il conseguente rischio di ulteriore impoverimento della ricerca accademica italiana. Se tale fosse stato l’intento del legislatore, allora questo risulta drammaticamente frustrato per il sistema-Paese nel suo complesso e, più in particolare, per il mondo universitario e per i ricercatori e le ricercatrici in Italia.
Il disegno di legge in esame configura un complesso quadro normativo, al più incoerente con lo spirito di razionalizzazione di cui al D.M. 1310/2023, che rischia di compromettere gravemente la stabilità e la sostenibilità dell’intero sistema universitario italiano, introducendo modalità di lavoro accademico che risultano essere un unicum nel panorama dei Paesi OCSE e un vero disincentivo per l’attrazione di profili professionali emigrati ovvero di elevata professionalità provenienti dall’estero. Pur dichiarandosi finalizzato alla «valorizzazione e promozione della ricerca», il provvedimento sembra invece mirare alla frammentazione del percorso che dovrebbe condurre all’ottenimento di una posizione lavorativa stabile negli atenei, disattendendo ogni prospettiva di consolidamento professionale e personale di chi svolge il lavoro di ricerca in Italia.
La ratio legis sottesa al provvedimento appare difficilmente riconducibile a un reale intento di miglioramento: si delinea piuttosto un quadro in cui si mira a perpetuare condizioni di sotto-retribuzione per una categoria già ampiamente penalizzata, prolungando quanto più possibile uno stato di precarietà che, attraverso la sommatoria delle varie figure introdotte e di quelle già esistenti, porta lo sperabile raggiungimento di una posizione da professore associato alla soglia dei cinquant’anni d’età e ai vent’anni di precariato accademico (senza il conteggio degli anni di dottorato). Tale impostazione risulta ulteriormente aggravata dall’assenza di una volontà politica di dare piena attuazione alla l. 79/2022 attraverso un adeguato finanziamento del contratto di ricerca. Quest’ultimo, è bene rammentarlo, rappresenta non solo una delle riforme fondamentali per il raggiungimento delle milestone previste dalla Missione 4, Componente 2, del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che esporrebbe la Repubblica italiana in caso di mancata o elusa attuazione all’azioni di controllo e monitoraggio della Commissione Europea, ma anche una necessaria risposta alle criticità strutturali derivanti dall’abuso dell’assegno di ricerca, il cui impiego sistematico viola i principi sanciti dalla Carta Europea dei Ricercatori.
Nonostante la recente sottoscrizione, in data 9 ottobre, dell’ipotesi di contratto relativa alla sequenza contrattuale sul contratto di ricerca – bloccata presso l’ARAN per oltre due anni e mezzo –, infatti, si evidenzia una contraddizione profonda e preoccupante. Da un lato, il Governo si impegna nell’attuazione della Riforma 1.1 del PNRR, volta a promuovere la semplificazione e la mobilità attraverso l’adeguamento dell’art. 22 della l. 190/2010, come modificato dalla l. 79/2022; dall’altro, il medesimo esecutivo pare svuotare di significato tale riforma, introducendo ulteriori articolazioni normative che non solo non semplificano, ma complicano il quadro regolatorio, offrendo agli atenei strumenti di reclutamento al ribasso. Tale scelta appare in evidente contrasto con gli obiettivi dichiarati di valorizzazione della ricerca e con le esigenze di garantire percorsi professionali dignitosi e in linea con gli standard europei.
Tanto ciò premesso, si formulano le seguenti considerazioni in merito alle disposizioni contenute nei DDL A.S. 1240, A.S. 1293, A.S. 184:
In via generale: nella relazione illustrativa al disegno di legge A.S. 1240, si afferma come obiettivo principale per il preruolo universitario la creazione di un percorso «certo e delimitato nel tempo», al fine di agevolare l’accesso al sistema universitario da parte di giovani studiosi e studiose e ridurre la durata del precariato. Tuttavia, il testo in discussione, così come concepito, consentirebbe un preruolo potenzialmente esteso sino a quattordici anni.
Nello specifico, limitatamente al disegno di legge A.S. 1240 si propone pertanto:
La soppressione dell’art. 22-bis (contratto post-doc): la figura del contratto post-doc, di durata variabile tra uno e tre anni, risulta potenzialmente sovrapposta e in contrasto con il contratto di ricerca introdotto dalla legge n. 79 del 2022. Esso rischia di pregiudicare l’effettiva operatività di quest’ultimo, configurandosi, nei fatti, come una versione semplificata e priva delle garanzie proprie di un rapporto di lavoro subordinato, assimilabile alla posizione di ricercatore a tempo determinato di tipo A (RTDa) in quanto a obblighi lavorativi e ledendo, anzi, la maggiore temporalità insita nella previgente figura del ricercatore di tipo a, riducendone l’estensione temporale minima da tre a un anno.
La soppressione dell’art. 22-ter (borse di assistenti alla ricerca junior e senior): le borse di assistenza alla ricerca, sia nella variante junior che senior, si configurano come una riproposizione, con minori diritti, della figura dell’assegno di ricerca, superata dalla l. 79/2022. Tra le principali criticità si evidenzia l’assenza di tutele fondamentali, quali l’accesso all’indennità di disoccupazione (artt. 7, legge 22 maggio 2017, n. 81, e 15, comma 15-bis, d.lgs. 4 marzo 2015, n. 22) e la possibilità di conferimento diretto delle borse su fondi esterni su proposta del Principal Investigator del progetto di ricerca, prevista dal comma 6.
La soppressione dell’art. 22-quater (adjunct professor): la figura dell’Adjunct Professor appare ampiamente sovrapponibile a quella del Professore a contratto, disciplinata dall’art. 23 della legge n. 240 del 2010, rendendone superflua l’introduzione.
Nello specifico, limitatamente al disegno di legge A.S. 1293 si propone pertanto:
La soppressione degli artt. 1 e 2 del disegno di legge in esame, per le motivazioni già summenzionate in riferimento al disegno di legge A.S. 1240. Viene valutata positivamente l’introduzione, all’art. 3, del fondo per la promozione dell’indipendenza scientifica, al fine di promuovere l’indipendenza scientifica dei titolari di contratto di ricerca di cui all’art. 22, l. 240/2010.
Si ritiene opportuno mantenere in vigore esclusivamente la forma contrattuale già prevista dalla legge n. 79 del 2022, ovvero il contratto di ricerca, la cui durata massima quinquennale garantisce un percorso lineare e sufficientemente delimitato nel tempo. Tuttavia, al fine di evitare elusioni della normativa, si propone di introdurre misure correttive riguardanti le borse di studio finalizzate ad attività di ricerca post-laurea (art. 18, comma 5, legge n. 240/2010, come modificato dalla legge n. 35/2012), escludendo espressamente dall’accesso a tali borse i candidati già in possesso del titolo di dottore di ricerca.
Al contempo, per garantire la piena attuazione della Riforma 1.1 del PNRR e assicurare l’operatività del contratto di ricerca, si ritiene indispensabile prevedere un finanziamento strutturale del pre-ruolo universitario e delle posizioni di tenure track. Tale finanziamento dovrebbe essere implementato attraverso:
1. Un significativo incremento delle dotazioni per i Progetti di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN) e il Programma Operativo Nazionale (PON);
2. L’introduzione di un apposito articolo nei criteri di riparto del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO), destinando risorse specifiche e annualmente vincolate al reclutamento e alla stabilizzazione del personale di ricerca.
Tali misure consentirebbero di evitare il dirottamento di fondi verso altre voci di spesa, come recentemente avvenuto per la tranche B del Piano Straordinario per le assunzioni, con conseguente blocco delle procedure concorsuali già bandite, come accaduto presso l’Università degli Studi di Siena (Decreto Rettorale prot. n. 225187 del 12 novembre 2024).
Solo mediante una programmazione ciclica, strutturata e inderogabile del reclutamento, in linea con le migliori pratiche europee, sarà possibile garantire percorsi professionali certi e condizioni di lavoro dignitose, favorendo la competitività del sistema universitario italiano e il pieno riconoscimento della professionalità dei giovani ricercatori e ricercatrici.
Nello specifico, limitatamente al disegno di legge A.S. 148:
Viene valutato positivamente il disposto dell’art. 2, volto a escludere dal conferimento di borse di ricerca post lauream coloro che sono già in possesso del titolo di dottore di ricerca.
Viene valutato positivamente il disposto dell’art. 3, in particolare al terzo comma, volto a valorizzare il titolo di dottore di ricerca all’interno delle procedure per il reclutamento del personale delle amministrazioni pubbliche.
Pubblicato Mer, 27/11/2024 - 15:15
- Accedi o registrati per inserire commenti.