Per piegare maggiormente il dottorato di ricerca “[...] alle esigenze del mercato del lavoro” il Piano prevede la creazione del c.d. Applied PhD. Non si capisce se sia un semplice rebranding dell’attuale dottorato industriale, oppure un modo per far rientrare dalla finestra i tentativi falliti di vecchi progetti ministeriali quali dare maggior spazio a rappresentanti del mondo privato nei collegi di dottorato, o riorientare l’articolazione del dottorato e i suoi obiettivi verso quelli, esclusivi, delle imprese. Beninteso, non pensiamo sia questo il modo di risolvere i puntuali problemi del dottorato di ricerca in Italia.
La proposta, articolata con vaghezza al punto 86, non tiene in alcun modo conto delle criticità emerse con i dottorati a caratterizzazione industriale, laddove si sono verificati numerosi casi di dottorandi sottoposti a pressioni improprie da parte delle aziende collegate, senza alcuna tutela da parte dei propri tutor. Inoltre, implica una logica competitiva/premiale che corrisponde alla concentrazione delle risorse in pochi poli nazionali (con l’esito non detto ma forse sperato della creazione di atenei di serie A e serie B). Infine, il demandare la regolamentazione di questi corsi, in deroga alla normativa nazionale, ad accordi tra atenei, aziende e amministrazioni locali è inaccettabile: configurerebbe una situazione di anarchia regolamentare, nella quale di fatto i dottorandi si troverebbero senza alcun appiglio a loro tutela. Anche qui, si tratta di una proposta che sembra voler favorire l’arbitrio a scapito di diritti e doveri ben definiti, per tutti.
Pubblicato Gio, 11/06/2020 - 15:37
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