Genere

Il piano Colao prevede inoltre una serie di misure per favorire la parità di genere nella ricerca scientifica. Al punto g della scheda 77, leggiamo infatti che il piano si propone di dare un "Fortissimo impulso alla gender equality nella ricerca mediante tre azioni specifiche: i) inserimento obbligatorio dello «stop the clock for maternity» ii) «family package» per la mobilità iii) riduzione cuneo fiscale per favorire bilanciamento di genere (basato su percentuali di partenza nel bacino di laureati delle diverse aree)". 

Colpisce la preoccupante vaghezza e potenziale inaccuratezza di queste proposte, che risultano altresì largamente insufficienti per affrontare con “fortissimo impulso” le problematiche legate alla disparità di genere nell'università (per un breve compendio, rimandiamo alla nostra ultima indagine annuale e agli articoli della nostra  campagna comunicativa annuale “lottotuttolanno”). 

La misura dell’introduzione obbligatoria dello “stop the clock for maternity” è certamente indispensabile, e infatti risulta già ampiamente applicata nei bandi per la valutazione della ricerca come l’ASN e nei bandi per posizioni RTD. In questi casi, infatti, il calcolo degli intervalli temporali rispetto ai quali vanno conteggiate le pubblicazioni e/o le attività di ricerca deve tener conto dei congedi obbligatori per maternità o per motivi di salute. Anche in questo caso, però, il Piano Colao dimostra di non aver presente le reali necessità da questo punto di vista. Abbiamo a che fare con una normativa iniqua, che costringe, ancora oggi, le donne a essere quelle a doversi fermare in caso di maternità, dal momento che per il secondo genitore/padre non esiste una normativa sufficientemente adeguata per usufruire di un congedo parentale, che garantisca una equa ripartizione delle responsabilità di cura nei confronti dei figli. Alcune vistose conseguenze di questa normativa, ma anche della cultura a cui si lega, sono emerse proprio con l’insorgere dell’emergenza sanitaria. Diverse riviste scientifiche hanno, infatti, rilevato un decremento sensibile nel numero di articoli sottomessi da parte delle donne negli ultimi mesi. Uno degli ultimi commenti a riguardo è stato pubblicato da Nature Index e può essere letto qui. Questi sono i dati, questi sono i problemi, questa è realtà di cui il Piano Colao dovrebbe tenere presente, anziché ignorarlo a vantaggio una aprioristica e ideologica visione della ricostruzione. 

Il secondo punto, “family package” per la mobilità, risulterebbe apprezzabile se non ignorasse un’esigenza fondante che andrebbe affrontata ben prima, ovvero quella di realizzare una rete di asili nido all’interno degli atenei, che favorisca il supporto alla genitorialità, senza che questa determini la scelta di sacrificare la carriera accademica soltanto perché si è scelto di mettere su famiglia. Una rete che sia di tipo nazionale, ma anche internazionale. Soltanto così, un “family package” per la mobilità potrebbe avere un senso, perché sarebbe il sistema nel suo complesso a offrire un sostegno concreto a tutti. 

Infine, non è specificato il criterio con cui ci si vorrebbe basare sulle “percentuali di partenza nel bacino di laureati delle diverse aree”. Il criterio non potrebbe che essere quello di incentivare lo svolgimento di attività di ricerca in settori tradizionalmente caratterizzati da un forte grado di segregazione orizzontale (es. informatica a forte caratterizzazione maschile vs. pedagogia a forte caratterizzazione femminile). In assenza di una chiara specificazione in tal senso, il rischio è quello di aggravare le disparità nella distribuzione di genere già presenti in fase di accesso ai corsi di laurea. Una notevole mole di studi dimostra quanto l’esistenza di un bias culturale di fatto stigmatizzi le donne nel modo in cui vengono percepite all’interno dell’accademia, con un seguito di stereotipizzazioni che conducono inevitabilmente alla discriminazione, e riflettendosi poi quantitativamente nei dati statistici. 

Oltre che potenzialmente problematiche, queste misure ci sembrano davvero lontane dal cogliere il reale problema alla base della disparità di genere nell’accademia. Perché soltanto il 22% delle donne arriva a ricoprire il ruolo di professoressa ordinaria? Perché i ⅔ dei contratti a maggior grado di precarietà su cui l’accademia si regge sono ricoperti dalle donne? Questi sono tutti dati noti, elaborati da noi come ADI, ma anche da organizzazioni europee. Senza una consavelopezza delle molteplicità dinamiche di sessismo presenti nell’accademia, e senza adeguate risorse per favorire la vita genitoriale di ricercatori in fase iniziale di carriera, le dinamiche discriminatorie nei confronti delle donne, legate o meno alla genitorialità, continueranno a perpetuarsi e a restituirci, anno dopo anno, le stesse statistiche sulla segregazione sia verticale che orizzontale.