Il Governo dà parere contrario ai nostri diritti

Presidente, onorevoli colleghe e colleghi,

il DL 71 interviene, come sapete, in materia di università e ricerca. Ebbene, l’articolo 15 posticipa dal 31 luglio 2024 al 31 dicembre 2024 il termine di conclusione del regime transitorio che permette a università e altri enti di bandire assegni di ricerca. Assegni di ricerca definitivamente sostituiti dai contratti di ricerca con la legge n. 79 del 29 giugno 2022. Parliamo chiaro: si tratta di protrarre ancora, senza alcuna giustificazione, una forma di precarietà già superata dalla legge.

Com’è possibile? La riforma del 2022 semplificava finalmente il sistema di reclutamento universitario prevedendo il contratto di ricerca come unica figura pre-ruolo. Restava altresì una figura da ricercatore a tempo determinato in tenure track (in attesa di conferma in ruolo come associato). Ma sarebbero scomparsi sia l’assegno di ricerca sia il ricercatore a tempo determinato di tipo A. Eppure, in mancanza di indicazioni dal Ministero, l’Aran dal 2022 a oggi non è arrivata a chiudere l’accordo.

Nel frattempo, il Ministero ha più volte prorogato gli assegni di ricerca, nell’attesa di applicare la revisione del pre-ruolo. Un’attesa di due anni e mezzo, a questo punto. Secondo un’indagine dell’Associazione Dottorandi, nel 27% dei casi all’assegno di ricerca segue un periodo di disoccupazione prima di un nuovo assegno. Al centro e al sud-isole ci sono picchi del 31% e del 33%. Nel 55% dei casi i periodi di disoccupazione superano i sei mesi.  Il 77% degli assegnisti dichiara di svolgere attività di docenza a titolo gratuito.

Durante la XVIII legislatura, la VII Commissione del Senato ha approvato all’unanimità un documento in cui si auspica “la soppressione dell’assegno di ricerca”. Pertanto, le questioni sono due. La prima, urgente: emanare i decreti attuativi della legge 79 e introdurre una volta per tutte il contratto di ricerca a tempo determinato. Ovvero, un contratto con salario regolato e inquadrato in un vero e proprio CCNL. Ma la seconda, altrettanto fondamentale: non credere che si possano mantenere in piedi altre forme di precariato nel mondo della ricerca. Non credere di disegnare un’impostazione in cui varie figure precarie e strumenti intermittenti si affiancano al contratto di ricerca.

Il contratto di ricerca deve essere l’unica figura utilizzabile nel pre-ruolo. E servono ovviamente delle specifiche risorse collegate. Eppure, il gruppo di lavoro istituito dal Ministero sta prefigurando una riforma in cui verranno reintrodotti e resi più flessibili gli assegni di ricerca. Non solo: aumenterà la possibilità di ricorrere alle borse di ricerca e verrà istituzionalizzata per la prima volta la figura del docente precario

Infatti, verrebbero inserite sei figure: la prima è il contratto di ricerca, con un equo salario e ogni tipo di copertura sociale, per un massimo di quattro anni. La seconda è disciplinata da un contratto di post-dottorato per un massimo di tre anni. E poi? L’assistente alla ricerca senior, per un massimo di tre anni, e l’assistente alla ricerca junior, sempre per un massimo di tre anni. Poi, il “professore aggiunto”, con conferimento diretto e piena libertà sul piano retributivo. 

Infine, dulcis in fundo, il contratto per studenti, che permetterà di assumere studenti sottopagati per fare ricerca. L’ennesimo spezzatino contrattuale che riporterebbe la precarietà, il lavoro povero e forme di vero e proprio sfruttamento a dilagare nelle nostre università. Un disegno inaccettabile, senza alcuna giustificazione. A cui noi ci opporremo in ogni modo. Siete ancora in tempo per fermarvi.