Dottorato e Scuola: cosa dice la sentenza 130/2019 della Corte costituzionale

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Come previsto dai giuristi dell'ADI, la sentenza 130/2019 della Corte costituzionale non riconosce l'equipollenza tra dottorato e abilitazione all'insegnamento. La battaglia sulla valorizzazione del dottorato si sposta dunque definitivamente dai tribunali al piano politico e culturale.

 

Il 28 maggio è stata pubblicata la sentenza 130/2019 della Corte costituzionale sulla legittimità del concorso straordinario 2018 riservato agli abilitati della scuola secondaria e dell’esclusione dei dottori di ricerca privi di abilitazione dalla partecipazione ad esso. Come già anticipato, tra i partecipanti dell’udienza del 7 maggio era presente anche l’ADI, difesa dall’Avv. Emilio Robotti del foro di Genova.

 

L’atto di intervento dell’ADI
 
Il 10 dicembre, l’ADI ha depositato un atto d’intervento presso la Corte costituzionale a seguito dell’ordinanza di rimessione del Consiglio di Stato dello scorso 3 settembre 2018 − pubblicata nel registro ordinanze n. 266 del 2018 − in cui si sostiene l’illegittimità costituzionale dei commi 2, lettera b), e 3 dell’art. 17 del d.lgs. 59/2017, che disciplinano la fase transitoria del reclutamento dei docenti della scuola secondaria. La questione di legittimità costituzionale riguarda il fatto che il concorso per l’accesso al ruolo della scuola secondaria sia riservato alle sole categorie dei docenti in possesso, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo citato, del titolo abilitante all'insegnamento nella scuola secondaria. Storicamente l’ADI non ha mai appoggiato le ragioni del collega ricorrente sulla presunta equiparazione tra dottorato e abilitazione, sostenendo che questi due titoli fossero ontologicamente diversi. Invece, l’atto di intervento dell’ADI presso la Corte ha avuto come obiettivo quello di sostenere ciò che il Consiglio di Stato dichiara al punto 16.11 dell’ordinanza: “La norma, secondo la giurisprudenza di questo Giudice, esprime il principio per cui allorché si richieda l’abilitazione quale necessario requisito di partecipazione ai pubblici ‘concorsi a posti e a cattedre di insegnamento nelle scuole di ogni ordine e grado’ deve essere in via transitoria consentito parteciparvi anche a chi dell’abilitazione sia sprovvisto, purché ovviamente munito del prescritto titolo di studio, finché non sia stato almeno astrattamente possibile conseguire l’abilitazione stessa in via ordinaria, ovvero all’esito di un percorso aperto ad ogni interessato, senza necessità di un precedente periodo di precariato.” Quindi il Consiglio di Stato NON ha ammesso il collega in via cautelare per una presunta equiparazione giuridica tra dottorato e abilitazione, ma perché il concorso in questione esclude coloro che, per ragioni contestuali, non hanno potuto conseguire per tempo i requisiti richiesti. Questo è un elemento molto importante perché evidenzia quello che ADI denuncia da anni: l’assenza di un periodico piano di reclutamento dei dottori di ricerca nell’Università, nella scuola e nella PA, lasciando l’assunzione di tanti colleghi a concorsi occasionali dovuti più all’emergenza che a una visione a lungo termine. Per tale ragione abbiamo deciso di ricorrere alla Corte Costituzionale e rafforzare la nostra posizione in tema di valorizzazione del titolo. 

 

No all'equipollenza tra dottorato e abilitazione
 
La sentenza della Corte conferma l’interpretazione dei giuristi dell’ADI, cioè che non vi può essere l’equipollenza tra dottorato e abilitazione all’insegnamento. Infatti si legge: ”I corsi per il conseguimento del dottorato di ricerca forniscono, infatti, una preparazione avanzata nell’ambito del settore scientifico-disciplinare di riferimento, valutabile nell’ambito della ricerca scientifica. Essi sono volti all’acquisizione di competenze necessarie per esercitare attività di ricerca di alta qualificazione. È pur vero che ai dottorandi è consentito l’affidamento di una limitata attività didattica. Tuttavia, anche a prescindere dalle profonde diversità della platea dei discenti, ciò è consentito solo in via sussidiaria o integrativa, non potendo in ogni caso compromettere l’attività di formazione alla ricerca (art. 4, comma 8, della legge n. 210 del 1998).
Viceversa, già in passato, in base all’art. 2 del decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249 (Regolamento concernente: «Definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, ai sensi dell’articolo 2, comma 416, della legge 24 dicembre 2007, n. 244»), così come ora, ai sensi degli artt. 5 e 6 del d.lgs. n. 59 del 2017, i percorsi abilitanti sono finalizzati all’acquisizione di competenze disciplinari, psico-pedagogiche, metodologico-didattiche, organizzative e relazionali, necessarie sia a far raggiungere agli allievi i risultati di apprendimento previsti dall’ordinamento, sia a sviluppare e sostenere l’autonomia delle istituzioni scolastiche.

In considerazione della finalità della procedura concorsuale, volta a selezionare le migliori e più adeguate capacità rispetto all’insegnamento, ciò che rileva è l’avere svolto un’attività di formazione orientata alla funzione docente, che abbia come specifico riferimento la fase evolutiva della personalità dei discenti. Tale funzione esige la capacità di trasmettere conoscenze attraverso il continuo contatto con gli allievi, anche sulla base di specifiche competenze psico-pedagogiche. È in vista dell’assunzione di tali rilevantissime responsabilità, affidate dall’ordinamento ai docenti della scuola secondaria, che le attività formative indicate costituiscono un fondamento “ontologicamente diverso”, rispetto a quello che caratterizza il percorso e il fine del titolo di dottorato”.  

Quest’ultima parte mette in rilievo l’importanza della formazione del docente rispetto ai discenti e non può mai essere ridimensionata dal possesso di altri titoli che non consentono a priori l’acquisizione di fondamentali competenze pedagogiche.

 

La valorizzazione del dottorato a Scuola
 
Pur riconoscendo che il dottorato di ricerca sia un percorso che non assicura l’acquisizione di tali conoscenze e competenze, l’ADI ha sempre sostenuto e sostiene che gli studi, le attività di ricerca, spesso accompagnate anche da attività didattiche universitarie, dei dottori di ricerca garantiscono elevate conoscenze e competenze che possono essere un valore aggiunto nel mondo della scuola. Nella sentenza, infatti, vengono riportate alcune nostre tesi in difesa del titolo del dottore di ricerca:

"In riferimento alle questioni sollevate in via principale, l’interveniente sottolinea di avere da tempo denunciato l’irragionevolezza del sistema d’individuazione della platea dei partecipanti al concorso, in particolare per l’omessa previsione dei dottori di ricerca, la quale si porrebbe in contrasto con gli artt. 51 e 97 Cost. 5.3.– Quanto alla questione subordinata, l’ADI denuncia l’irragionevolezza delle disposizioni censurate, le quali si porrebbero in contrasto con gli stessi fini perseguiti dal legislatore, ossia la garanzia dell’accesso all’insegnamento di soggetti in possesso dei titoli e delle capacità necessarie alla formazione degli studenti. Sarebbe, infatti, irragionevole l’esclusione dei titolari di dottorato di ricerca, che garantisce l’abilitazione all’insegnamento nei più alti gradi d’istruzione. Inoltre, questo modello di accesso al concorso produrrebbe risultati manifestamente contraddittori e talora paradossali. Si evidenzia, al riguardo, che le procedure di abilitazione svolte presso le Scuole di specializzazione all’insegnamento secondario e dal Tirocinio formativo attivo prevedevano, tra le attività necessarie al conseguimento dell’abilitazione, la frequenza ad alcuni insegnamenti di didattica disciplinare. Per la mancanza di personale strutturato, questi corsi sarebbero stati spesso assegnati ai dottori di ricerca, anche non abilitati all’insegnamento. Da una parte, quindi, viene riconosciuta la qualificazione del dottore di ricerca come adeguata all’insegnamento nei corsi abilitanti e, dall’altra parte, la stessa non è ritenuta sufficiente per l’ammissione al concorso. La preclusione prevista dalle disposizioni censurate produrrebbe un effetto ingiustamente afflittivo per i dottori di ricerca, nonché un potenziale pregiudizio per l’intero sistema educativo nazionale, attesa la perdita di personale d’alta formazione per lo svolgimento dell’attività di insegnamento, in violazione anche all’art. 34 Cost., che impone la valorizzazione dei titoli accademici superiori".

L’esito di questa sentenza sposta definitivamente la battaglia sulla valorizzazione del dottorato dai tribunali al piano politico e culturale e non lascia più spazio a illusorie concessioni dalla giustizia amministrativa.

Guarda il video dell'intervento dell'Avv. Emilio Robotti 

Leggi le proposte dell'ADI per valorizzare il dottorato nel mondo della scuola

 
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