Il contratto di ricerca, necessario a superare intermittenza e insufficienza retributiva dell’assegno di ricerca, è tenuto in ostaggio dall’ARAN, l’Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle pubbliche amministrazioni, da luglio 2022. Da due anni gli atenei sono invischiati in un’incertezza totale riguardo al futuro del pre-ruolo e i ricercatori continuano a lavorare in condizioni già giudicate insostenibili da parte dell’Unione Europea e dall’Indagine conoscitiva sulla condizione studentesca nelle università e il precariato nella ricerca universitaria, approvata nella scorsa legislatura.
A più riprese l’ADI ha chiesto a tutte le forze sindacali chiamate alla stipula del CCNL Istruzione e Ricerca (FLC CGIL, Cisl Scuola Fsur, Snals Confsal, Gilda Unams, Anief) di sottrarre al Governo l’ultimo alibi a sostegno della sua perdurante e ingiustificabile inerzia e di procedere alla definizione dell’importo del contratto in sede di contrattazione collettiva. Pur trattandosi di una soluzione parziale, che non consente la piena garanzia di un uniforme trattamento dei futuri contrattisti né diritti comuni minimi a livello nazionale, la sottoscrizione del CCNL rappresenta l’unico modo per porre fine alla drammatica situazione che sta vivendo il precariato universitario, a fronte di un transitorio infinito e privo di prospettive chiare.
È noto, infatti, come il Ministero dell’Università e della Ricerca abbia pubblicamente additato la mancata firma sulla sequenza contrattuale relativa al contratto di ricerca di cui al nuovo art. 22 della legge 240/2010 come causa della sua mancata attuazione: ne è una prova il Question Time alla Ministra Bernini del 19 Luglio 2023, durante il quale la Ministra ha espresso chiaramente che «l’importo deve essere stabilito in sede di contrattazione collettiva ma [...] il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro in materia di ricerca ha richiesto lunghi tempi di realizzazione, rendendo necessaria la proroga degli assegni di ricerca ma gli assegni sono stati aboliti. I nodi da sciogliere non riguardano solo la retribuzione, ma tutto il trattamento giuridico collegato». Ciò nonostante, la stessa Ministra ha prorogato gli assegni già due volte e siamo nell’imminenza di una terza proroga, in caso di fallimenti o ritardi nelle trattative all’ARAN.
Da oltre dieci anni, le giovani ricercatrici e i giovani ricercatori in Italia attendono il superamento, in meglio, dell’assegno di ricerca, un istituto giuridico solo italiano che ci rende uno dei Paesi europei con il regime maggiormente precarizzante per le lavoratrici e i lavoratori della ricerca. Necessitiamo noi, in prima persona, di condizioni di lavoro, equiparabili a quelle dei colleghi europei, dall’importo adeguato a garantire un’esistenza dignitosa, attraverso uno strumento giuridico che consenta a tutte e tutti noi il dovuto riconoscimento del lavoro svolto negli atenei e al servizio del progresso, della ricerca scientifica nazionale e internazionale, del bene comune.
Per questo motivo, chiediamo con forza alle forze sindacali, coloro che più di ogni altra istituzione sono deputate a difendere e far avanzare i nostri diritti e le nostre condizioni di vita, di dare un decisivo e definitivo impulso al contratto di ricerca, dichiarando apertamente la loro intenzione di firmare e concludere il percorso della contrattazione nazionale.
Questo è solo il primo passo per far vivere il contratto di ricerca. Alla sottoscrizione del CCNL, dovrà seguire un netta presa di posizione da parte degli atenei e degli enti di ricerca che assicuri, almeno a livello locale, diritti certi e mansioni chiare in relazione alla nuova figura dei contrattisti di ricerca, nonché da parte del Governo che sarà costretto ad assumersi la responsabilità, attraverso lo stanziamento di adeguate risorse aggiuntive, di garantire che le istituzioni di ricerca abbiano i fondi necessari per finanziare la ricerca post-doc. Non si può immaginare una ricerca a costo zero e nessuna riforma del precariato della ricerca ha senso se il decisore politico italiano, in controtendenza con i trend europei e internazionali, si ostina a perpetuare il cronico sottofinanziamento in cui versa l’accademia italiana.
Per l’ADI il contratto di ricerca è soltanto il primo passo per assicurare migliori condizioni lavorative ed economiche ai precari della ricerca. Crediamo che la garanzia del lavoro delle giovani ricercatrici e dei giovani ricercatori passi da almeno quattro pilastri: (i) un trattamento economico del personale precario equiparato a quello del personale stabilizzato, (ii) una durata dei rapporti di lavoro dignitosa e comunque non inferiore ai due anni, (iii) piena garanzia per tutti i precari della ricerca delle tutele assistenziali e previdenziali, anche al fine di contrastare il divario di genere che ancora caratterizza il lavoro della ricerca, (iv) l’immediato e definitivo superamento di un transitorio eterno, verso un regime giuridico stabile nel tempo che tenga conto delle legittime aspettative del precariato storico e delle aspirazioni di una nuova generazione di ricercatrici e ricercatori.
Il contratto di ricerca, seppur in modo ancora incompleto, può rappresentare un importante avanzamento in questa direzione. Il dibattito sul futuro del precariato della ricerca deve, tuttavia, abbandonare le sale dell’ARAN, per passare nei corridoi e nelle aule delle nostre università e degli enti di ricerca. La conclusione della saga del contratto inattuato rappresenta, pertanto, il presupposto necessario per la riattivazione di una nuova stagione di lotte, comune a tutti i soggetti rappresentativi dei lavoratori della ricerca e di ogni altra componente dell’Università, verso un lavoro accademico e una ricerca più giuste, eque e inclusive.
Pubblicato Lun, 20/05/2024 - 23:36
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