Ma quale valorizzazione? Questa è una umiliazione!

Nelle settimane scorse come ADI abbiamo lavorato per soppesare e smascherare i tanti sussurri e indiscrezioni che circolavano negli ambienti universitari attorno al progetto del Governo e della Ministra Anna Maria Bernini sulla riforma del pre-ruolo universitario.

Al termine del Consiglio dei Ministri di ieri, quelle che fino a ieri erano bollate dalla Ministra come “indiscrezioni giornalistiche” che abbiamo portato all’attenzione degli organi di stampa nazionali e locali, sono diventate un disegno di legge governativo in neo-lingua orwelliana sulla “valorizzazione e promozione della ricerca”.

Ciò che dobbiamo commentare è, in realtà, un vero e proprio DDL “Umiliazione della Ricerca”. Un progetto scellerato di frammentazione delle nostre carriere, del nostro lavoro. Il depotenziamento del lavoro di ricerca e della qualità della didattica si salda alla più grave sottrazione di risorse subita dal sistema universitario pubblico dall’ultimo decennio. Un attacco totale alla libertà di ricerca, al sistema universitario, alle vite di coloro che lavorano a ogni livello in accademia. I ricercatori vengono declassati a meri assistenti, il loro ruolo svilito e mai valorizzato come il disegno di legge titola in modo mistificatorio.

La strozzatura delle risorse e la precarizzazione delle vite

Una delle più vivide critiche che veniva rivolta al contratto di ricerca così come introdotto dalla Legge 29 giugno 2022 n. 79, era rappresentata dalla cd. “tagliola”, che avrebbe espulso cifre variabili e mai quantificate di assegniste e assegnisti in ragione del combinato del tetto di spesa presente e dell’aumento delle garanzie reddituali, previdenziali e assistenziali che il contratto di ricerca avrebbe garantito alle future contrattiste e contrattisti. Diritti nuovi nel contesto del precariato universitario, come la tredicesima mensilità o il versamento di contributi che davano luogo alle tutele giuslavoristiche proprie di qualunque rapporto di lavoro subordinato, venivano contrastati dall’accademia più conservatrice verso i diritti del lavoro di ricerca e mediaticamente collegati al “rischio del cartellino” o a una paventata trasformazione delle università in succursali dell’INPS - Istituto Nazionale della Previdenza Sociale.

In seguito all'esplosione di figure precarie dovuta al PNRR, per cui si sono raggiunti i 20.000 assegni di ricerca e 9.000 posti da RTD-A, il ritorno al solo finanziamento ordinario, di cui da tempo si sono denunciate la scarsità e l’inadeguatezza, rappresenterebbe un'ulteriore stretta per il precariato della ricerca. Inoltre, la fine dei piani straordinari di reclutamento ridurrebbe il numero di posizioni in tenure track che possono essere messe a bando: l'opportunità di riportare il sistema universitario sopra la soglia di sopravvivenza dopo oltre un decennio di tagli richiederebbe, al contrario, ulteriori risorse, idonee a rendere strutturali alcuni dei finanziamenti dei piani che si sono susseguiti negli anni.

Cosa dispone il disegno di legge?

Una triplice tagliola: l’attuazione del disegno di legge è infatti garantita dalla “clausola di invarianza finanziaria”, ovverosia dalla mancanza di «nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica» per il finanziamento della pletora di posizioni congegnate dal gruppo di lavoro Resta-Bernini.

Di più: ciascuna delle nuove figure precarie (contratto post-doc e borse di assistenza alla ricerca) è gravata dal limite di «spesa media sostenuta nell’ultimo triennio per il conferimento degli assegni di ricerca» o, per il contratto cd. “post-doc” per assegni di ricerca e RTD-A.Traduzione: rimane la tagliola tanto criticata della Legge 79, impedendo la destinazione di ulteriori risorse per i precari della ricerca oltre la spesa storica, e scompaiono i diritti, le garanzie e le tutele che la Legge 79 avrebbe previsto per contrattiste e contrattisti di ricerca.

La piramide lavorativa dell’umiliazione

Se approvato, il sistema Bernini-Resta disarticolerà completamente la posizione lavorativa della ricerca e della didattica, prevedendo complessivamente sei figure di soggetti che a vario titolo saranno parte del sistema accademico, peggiorando le storture già presenti nell’attuale modello degli assegni di ricerca e delle docenze a contratto. Infatti, preme sottolineare come fra le modalità di conferimento delle borse di ricerca vi è la procedura di conferimento diretto. Il disegno di legge cementa dunque il sistema cooptativo e consortile accademico della “chiamata” da parte del titolare di fondi di ricerca nazionali, internazionali o europei. Il sistema di gestione privata di fondi pubblici subirà la massima distorsione possibile, permettendo la distrazione di risorse, pubbliche o private, per decisione di affidamento presa su indicazione del responsabile scientifico al candidato o alla candidata predestinata.

Inoltre, il limite di 12 anni di precariato che era previsto dalla legge 240/2010, unico freno alla precarietà infinita negli anni successivi, viene aggirato: sommando i limiti delle nuove figure si supera il decennio di precarietà assoluta, ponendo giovani ricercatori e ricercatrici davanti a un ricatto. L'unica alternativa all'espulsione immediata, per chi ha la fortuna di essere in un settore che possa finanziare anche solo le posizioni precarie, è una lunga sequela di posizioni temporanee, spesso con un orizzonte di un solo anno, con la consapevolezza di arrivare ben oltre i 40 anni senza nessuna prospettiva di stabilità. La media di 41,5 anni per le e gli RTD-B, raggiunta nel 2022 e leggermente calata in seguito ai piani straordinari di reclutamento, sembra destinata ad aumentare di nuovo per le posizioni RTT, sfiorando i 50 anni in alcuni settori.

Infine, il precariato infinito non dà nessun diritto all’assunzione, come il DDL ci tiene a specificare in più punti: anche chi ha i mezzi, per censo e condizioni personali, per arrivare in fondo a questo lungo percorso, si troverà con tutta probabilità senza una posizione a tempo indeterminato. 

Quali sono queste figure?

Borsa di assistenza alla ricerca junior

Le borse di assistenza alla ricerca junior, in previsione all'articolo 22-ter della Legge Gelmini, rappresentano il surrogato più immediato dell’assegno di ricerca per giovani laureati da non più di sei anni e dunque, potenzialmente, anche per i dottori di ricerca.

Destinate a fornire un'introduzione al mondo della ricerca sotto la supervisione di un tutor, queste borse vengono definite come uno strumento di formazione e avvio alla carriera scientifica. Tuttavia, la loro natura temporanea (durata compresa tra l’anno e il triennio), l’assenza di un vincolo di esclusione esplicito per i dottori di ricerca e la mancata definizione di un trattamento economico adeguato rimesso a un futuro decreto ministeriale, riproducono e amplificano le criticità proprie degli attuali assegni di ricerca, i quali già risultavano sprovvisti di quel sistema di tutele lavorative e previdenziali che qualsivoglia rapporto di lavoro deve avere. 

In definitiva, alcuni dei destinatari delle  borse junior rappresenteranno il primo gradino del nuovo precariato della ricerca, costretti a vivere in un contesto di instabilità economica e lavorativa a causa dell’assenza delle tutele minime necessarie per poter lavorare adeguatamente nel mondo della ricerca, mentre altri diverranno soltanto stagisti non pagati degli studi professionali di professori e professoresse, sottraendo una quota di finanziamento pubblico alla già magra cifra assegnata alla ricerca.

Borse di assistenza alla ricerca senior

Analogamente, le borse di assistenza alla ricerca senior sono rivolte a coloro che hanno conseguito un dottorato di ricerca o un titolo equivalente entro sei anni. Queste borse offrono a soggetti già idonei a concorrere per una posizione da Ricercatore in Tenure Track la possibilità di estendere fino a ulteriori sei anni il proprio precariato accademico attraverso la possibilità di condurre progetti di ricerca autonomi, teoricamente premiando l'eccellenza e l'indipendenza scientifica. 

Tuttavia, l’assenza di diritti in termini di accesso a posizioni stabili solleva critiche significative: gli assistenti alla ricerca, nonostante il possesso di qualifiche avanzate, rimangono intrappolati in una spirale di temporaneità para-contrattuale, che ne preclude il riconoscimento definitivo nel panorama accademico. 

Le borse di ricerca senior premiano la distorsione precarizzante dell’assegno di ricerca attraverso soluzioni temporanee che perpetuano la dipendenza economica e l'incertezza professionale, minando il principio di equità e dignità di ogni lavoro. La promessa di innovazione e scoperta, tanto retoricamente spesa dalla Ministra Bernini, si trasforma in una costante lotta per la sopravvivenza accademica, che pochissimi privilegiati vinceranno. La maggior parte, invece, sarà immersa in un sistema che predilige la flessibilità alla stabilità, alimentando inevitabilmente il ciclo del precariato accademico.

Contratto post-doc

I contratti post-doc, disciplinati dall'articolo 22-bis del DDL, sono concepiti come strumenti contrattuali di durata temporanea, finalizzati allo svolgimento di attività di ricerca, nonché alla partecipazione a iniziative didattiche e di terza missione all'interno di università e istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica. 

Tali contratti prevedono una durata minima di un anno, con possibilità di proroga sino a un massimo di tre anni, riflettendo un apparente impegno per garantire stabilità ai giovani ricercatori.

Scopo inespresso del contratto post-doc è la sterilizzazione del contratto di ricerca disciplinato dalla Legge 79 del 2022: il rapporto di lavoro di durata biennale, giudicato eccessivo dall’accademia, viene ricalibrato sull’annualità e riabilitando in tutto l’intermittenza dell’assegno di ricerca che pure era stato condannato dalla IX Indagine ADI e dal Rapporto sul precariato universitario, approvato all’unanimità dal Senato della Repubblica nella scorsa legislatura.

Il compenso, fissato come per il contratto della Legge 79 del 2022 a quello del ricercatore confermato a tempo definitivo, chiama con sé l’argomento della supposta insostenibilità finanziaria da parte degli atenei, specie nel momento in cui il governo sceglie per volontà politica ma con codardia mediatica di tagliare il Fondo per il Finanziamento Ordinario di oltre cinquecento milioni di euro.

Rimane il tetto di spesa, ma si indeboliscono le tutele. Pertanto, giovani ricercatori e giovani ricercatrici si troveranno comunque costretti e costrette a competere in un mercato del lavoro accademico già fortemente precarizzato e dominato da logiche di potere ma per molto meno e molto peggio, senza alcuna garanzia di evoluzione professionale nel lungo termine e con il rischio che, così come per il contratto di ricerca, anche il contratto post-doc risulti nella pratica marginalizzato a favore delle borse di assistenza.

Professore/ssa aggiunto/a (Adjunct Professor)

Il contratto di professore/ssa aggiunto/a, introdotto dall’articolo 22-quater, mira a favorire la mobilità e l'apertura del sistema accademico attraverso l'ingresso di esperti di alta qualificazione provenienti anche dal mondo professionale esterno. Questi contratti, della durata minima di tre mesi e massima di tre anni, sono concepiti per arricchire il corpo docente con competenze specifiche e innovative. 

La modalità di selezione di tali figure, secondo una tendenza critica già riscontrabile per le borse di ricerca, risponde a un modello puramente cooptativo: per divenire professori o professoresse aggiunte non è necessario partecipare a nessun concorso, ma soltanto presentare una manifestazione di interesse ed attendere di essere selezionati per la stipula del contratto, sulla base di criteri del tutto discrezionali, dal Consiglio di Amministrazione su proposta del Rettore. Si tratta dell’apoteosi di una visione che, senza alcuna specifica giustificazione, promuove il sovvertimento del concorso pubblico come condizione per lo svolgimento di prestazioni lavorative a favore dell’università, con un peggioramento anche rispetto alla figura dei docenti a contratto di cui all’attuale art. 23 della legge 240/2010. 

L'enfasi posta sull'esperienza esterna all’accademia non deve oscurare la necessità di creare percorsi di carriera chiari, ciclici e ordinati per i docenti interni, i quali rischiano invece di essere sottovalutati e marginalizzati da personalità esterne cooptate all’interno del sistema accademico, sollevando profondi interrogativi circa il rischio di una sistematica svalutazione del personale accademico esistente, che continua a operare sotto l’ombra del precariato.

Alla loro riforma rispondiamo e risponderemo già da ora con la nostra protesta: non esistono altre soluzioni percorribili. Sulle nostre teste pendono nuove forme di para-schiavitù, di cui il governo si fa feroce e fiero promotore. Reagiamo insieme e urliamo ancora più forte il nostro rifiuto: al Buena Onda Social Camp dell’ADI di fine agosto, alle assemblee delle nostre sedi locali, nelle piazze, in qualsiasi forma il dissenso a questo progetto scellerato monterà. Il precariato accademico non è un problema individuale, ma una condizione collettiva che la deforma Bernini vuole rendere inscalfibile. 

La tanto decantata «cassetta degli attrezzi» ne contiene uno solo: la tagliola. 

Non consentiremo che si disponga piacimento delle vite, delle aspirazioni e dei legittimi desideri di stabilità di migliaia di giovani ricercatrici e ricercatori.