Mentre il Parlamento cancella, con il favor del Ministero, la figura del ricercatore a tempo determinato di tipo A (RTDA) nella riforma del reclutamento universitario, la Ministra, con suo Decreto del 10 agosto 2021, stanzia e riparte 250 milioni a valere sui fondi PON per bandire posizioni di RTDA sulle tematiche dell’innovazione e della sostenibilità ambientale: è evidente l’illogicità e l’incongruenza di una tale scelta che, nel momento in cui tutto il mondo della ricerca concorda sulla necessità di eliminare il cd. doppio binario dei contratti da ricercatore, impegna una poderosa mole di risorse, sconosciute al finanziamento ordinario della ricerca dell’ultimo decennio, che finirà per alimentare una bolla di precariato destinata, fin d’ora, a innestarsi su un binario morto.
Una tale scelta è ancor più grave alla luce delle condizioni di finanziamento di cui al Decreto: dovendo i fondi PON essere spesi integralmente entro il 31 dicembre 2023, il Ministero finanzia i suddetti RTDA per soli due anni, lasciando agli atenei l’onere di rinvenire negli angusti spazi di bilancio a loro disposizione (o in accordi con soggetti esterni) le risorse per co-finanziare il terzo anno. Come pensa il Ministero che gli atenei, ed in particolar modo quelli con croniche difficoltà di bilancio, possano caricarsi di un onere così ingente, considerato il numero dei contratti potenzialmente attivabili con le risorse trasferite? Appare evidente che l’unica soluzione sarà il ricorso al finanziamento esterno proveniente dal mondo dell’impresa, con la conseguente replicazione dei soliti modelli iniqui di finanziamento della ricerca in favore delle aree scientifiche maggiormente in grado di attrarre risorse esterne.
Tenuto conto di ciò e del fatto che il Decreto prevede come obbligatorio un periodo di almeno di 6 mesi che il ricercatore deve trascorrere in azienda, è evidente la logica - per non dire l'ideologia - che si cela dietro queste misure: una ricerca che trova sempre più luogo nelle imprese e sempre meno nelle università, orientata al profitto e sempre più lontana dal paradigma costituzionale di libertà nello scambio dei saperi.
Tutto ciò appare ancor più grave se si considera che la richiesta di autorizzazione all’impiego dei fondi PON allo scopo, fra l’altro, di finanziare contratti da RTDA, veniva trasmessa dal Governo alla Commissione Europea il 12 luglio scorso, quando era nota la cancellazione degli RTDA nella riforma del reclutamento e già si profilavano rilevanti criticità con riguardo al futuro regime transitorio per i precari della ricerca. Dinanzi alle ripetute proposte di ADI volte ad individuare una soluzione che tenga conto delle esigenze di entrambe le generazioni di ricercatori, quelli che con il loro lavoro spesso mal pagato hanno sorretto il sistema nell’ultimo decennio e quelli che si affacciano ora alla carriera postdottorale con la legittima aspettativa di proseguire col lavoro della ricerca, la soluzione del Ministero è una non soluzione: dalle notizie che trapelano, la proposta del Ministero rinuncia a farsi carico di questa rilevante problematica, gettando le diverse generazioni di precari nello stesso calderone ed innescando una insostenibile competitività non compatibile con le esigenze di vita e di lavoro, che non farà altro che perpetrare - tutt’altro che superare - la piaga del precariato.
Una visione miope ed incoerente, questa, che si limita ad amministrare “alla giornata”, incrementando il circolo vizioso ed antistorico della competitività tra precari, che preoccupa non poco con riguardo al disegno complessivo del Ministero circa il futuro della ricerca in Italia: un patchwork male assortito di interventi spot o un cinico disegno che mira ad una guerra di tutti contro tutti?
Pubblicato Mer, 29/09/2021 - 00:22
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