Chi ha ucciso il contratto di ricerca?

Venerdì 14 luglio, la trattativa per il rinnovo del contratto collettivo nazionale del comparto scuola, università e ricerca, in cui avrebbe dovuto essere definita la disciplina del nuovo contratto di ricerca, è vergognosamente fallita. Il contratto di ricerca è rinviato a data da destinarsi.

La riforma del preruolo approvata il 30 giugno del 2022 rappresentava un primo passo per riordinare il sistema del reclutamento universitario ed iniziare ad affrontarne l’endemico precariato. Consegnando all’oblio della storia l’assegno di ricerca, uno strumento indegno di sfruttamento legalizzato, condannato anche dall’Unione Europea, si prevedeva al suo posto un vero contratto, con retribuzioni più alte, una durata di due anni, un inquadramento da dipendente e non parasubordinato.

Già a dicembre, in sede di legge di bilancio per il 2023, il Governo aveva deciso di non stanziare alcuna risorsa per dare corso alla riforma del preruolo – né, per quel che vale, per tutto il comparto universitario –, un intento che ha poi trovato logica e necessaria conseguenza nella proroga degli assegni di ricerca. 

La Ministra Bernini all’epoca ebbe l’ardire di sostenere che un contratto potrebbe ledere la “libertà della ricerca”. Che libertà, quella dell’assegno, la libertà di non sapere dove lavorerai l’anno prossimo, la libertà di non poter avere una prospettiva di vita familiare pur minima, la libertà di non poter neanche decidere che indirizzo di ricerca perseguire. La libertà di essere titolare di una posizione che è aperta anche ai laureati senza titolo di dottorato.

Oltre alle questioni ideologiche, qui sopra riportate, si era addotto a sostegno della proroga degli assegni l’impossibilità di bandire i contratti in mancanza di una disciplina nell’ambito della contrattazione collettiva.

Arriviamo così a quanto accaduto ieri. Nonostante alcune organizzazioni sindacali avessero insistito per inserire nel testo della legge 79/2022 il rimando alla contrattazione collettiva come base della disciplina del contratto di ricerca, oggi la trattativa è fallita. Il fallimento della trattativa significa, sul piano sostanziale, che il Governo ha deciso, attraverso l’Agenzia negoziale, di affossare il contratto di ricerca. CISL e CGIL hanno presentato la chiusura del CCNL come un passo importante e definiscono positivi gli avanzamenti lì contenuti. La sola UIL tra i confederali ha ritenuto di denunciare il contratto come una farsa, tra gli altri motivi richiamando l’assenza vergognosa della disciplina inerente i contratti di ricerca. La disciplina del contratto di ricerca è quindi rinviata ad una successiva tornata negoziale. Per tale occasione, sarà importante che il Ministero chiarisca se veramente intenda o meno dare corso alla riforma del preruolo, prima di una, altrimenti inevitabile, ulteriore proroga degli assegni. Diversamente, ai precari del mondo dell’università non resterà che barcamenarsi tra un assegno e quello successivo, spesso intervallati dalla Dis-Coll, sempre accompagnati dall’impossibilità di essere considerati lavoratori e lavoratrici, titolari di diritti.

Se il Ministero e i sindacati non troveranno un accordo in autunno, sarà chiaro che l’affossamento del contratto di ricerca non sarà frutto del caso ma della piena volontà politica di non dare corso ad una riforma che restituiva dignità, seppur minima, a una grande parte dei precari della ricerca. Il fallimento della contrattazione ha già fatto sì che l’assegno di ricerca, più che rientrare dalla finestra, possa trovare l’uscio spalancato: tanti si sono contesi il ruolo del portiere più cortese.

Sarà necessario riprendere la battaglia per il contratto di ricerca, se necessario anche superando il limite, ieri apparso in modo lampante, della contrattazione collettiva. Ci aspettiamo che tutta la comunità universitaria si impegni nei fatti per affrontare il nodo dell’assegno per quello che è: una anomalia europea, indegna di un paese civile. Hic Rhodus, hic salta, questo è il momento di scegliere da che parte stare. Ci aspettiamo che rettori e rettrici facciano propria la nostra battaglia per la dignità del lavoro di ricerca, che chiedano a gran voce contratti chiari e pretendano maggiori fondi per scongiurare il ricatto delle espulsioni. Ci auguriamo che professori e professoresse siano con noi in questa lotta e denuncino con forza le condizioni cui sono soggetti i precari della ricerca in Italia che con loro lavorano quotidianamente. Perché la qualità della didattica e della ricerca passa per la qualità del lavoro e della vita di chi quella didattica e quella ricerca la fa. Soprattutto, speriamo che colleghe e colleghi abbiano chiara quale sia la posta in gioco e si attivino in ogni sede per denunciare lo stato di cose e aiutare a costruirne uno diverso. La libertà della ricerca, che passa da un futuro dignitoso e migliore per il lavoro di ricerca, proveremo ancora una volta, nonostante tutto, a costruirla insieme.