Bozza DL Rilancio e PhDs: il MUR recepisce solo alcune delle proposte ADI

Da alcuni giorni circola in rete una bozza dell'imminente “decreto rilancio”, con il quale il Governo dovrebbe rispondere alle conseguenze economiche causate dalla pandemia. Non è nostra prassi commentare un testo non definitivo. Tuttavia, vista l’eccezionalità della situazione, iniziamo qui a illustrare alcuni dei più rilevanti contenuti di queste bozze, pur evidenziando la possibile presenza di formulazioni diverse, in base alle diverse bozze attualmente in circolazione.

Le proposte pensate dal governo per dottorandi ed assegnisti di ricerca sono contenute nell’articolo 226 della bozza,  commi 5 e 6, ma segnaliamo anche le norme che per al momento estendono alcune misure previste dal decreto Cura Italia e che coinvolgono anche i precari della ricerca come, ad esempio, quelle sui congedi parentali (art. 75) e sulle indennità (art. 89).

 

Proroga per dottorandi

Per quanto riguarda la proroga per i dottorandi, al comma 5 l’attuale bozza di decreto sembra disporre una proroga per i dottorandi iscritti all’ultimo anno non superiore a due mesi, finanziata con un fondo pari a 20 milioni appositamente stanziato. La norma, per la sua formulazione, suscita alcune perplessità: leggendo la relazione di accompagnamento, non è chiaro se questo fondo di finanziamento delle proroghe sarà disponibile anche per i dottorandi del 34° e 35° ciclo nel loro ultimo anno, ovvero rappresenti una misura una tantum per i soli dottorandi iscritti al 33°. 

Se le disposizioni in oggetto fossero confermate, e la proroga fosse concessa solo ai dottorandi del 33° ciclo, queste si rivelerebbero decisamente insufficienti: come fin dall’inizio della pandemia abbiamo rilevato, tutti i dottorandi si sono trovati bloccati nell’avanzamento della loro attività di ricerca a seguito della chiusura dei dipartimenti, per l’inaccessibilità ai laboratori, al materiale bibliografico non disponibile in linea, per l’impossibilità di svolgere i programmati (e talvolta obbligatori) periodi di ricerca all’estero. È innegabile che le misure di lockdown abbiano comportato il rallentamento e la riarticolazione dei cronoprogrammi per tutte e tutti, e, se la proroga di due mesi fosse riconosciuta solo per i dottorandi che terminano il ciclo nel 2020, questo non risolverebbe le criticità degli altri circa 15 mila che si vedrebbero ingiustamente penalizzati da questa misura. 

 

Proroga per assegnisti di ricerca

Il comma 6 prevede la proroga della durata degli assegni di ricerca “per il periodo di tempo corrispondente all’eventuale sospensione dell’attività di ricerca incorsa a seguito delle misure di contenimento”, ma rimette la scelta relativa all’attivazione della proroga alla discrezionalità agli atenei e, oltretutto “nei limiti delle risorse relative ai rispettivi progetti di ricerca o, comunque, nell’ambito delle proprie disponibilità di bilancio”. Inoltre, sul comma 6 emerge dalla bozza il parere contrario della Ragioneria Generale dello Stato secondo cui “la proposta non appare strettamente connessa al superamento della peculiare situazione emergenziale dovuta alla diffusione della Covid-19, assumendo piuttosto carattere generale con riferimento alla durata complessiva dei contratti con gli atenei” e, inoltre, poiché “appare suscettibile di determinare oneri a carico della finanza pubblica non adeguatamente quantificati e privi di idonea copertura finanziaria”. Tale ultima circostanza assume rilievo con particolare riferimento alla discrezionalità degli atenei e, dunque, all’impossibilità di stimare quanti ne farebbero ricorso e di quantificare gli oneri che ne conseguono.La misura è del tutto insoddisfacente, poiché crea il presupposto per soluzioni differenziate tra gli atenei (su cui molto incidono le condizioni contabili tutt’altro che uniformi sul territorio nazionale) e, pertanto, per la discriminazione delle condizioni di lavoro e di vita degli assegnisti. Inoltre, pur rispettando il rilievo tecnico della RGS, va sottolineato che la ratio della proroga degli assegni è la medesima di quella delle borse di dottorato: consentire agli assegnisti di portare a termine le proprie ricerche recuperando il tempo perso a causa delle doverose misure di contenimento del contagio. Il che, naturalmente, non può avvenire a titolo gratuito.

Sarebbe dunque necessaria una risoluta presa di posizione del Ministero dell’Università e della Ricerca: una scelta politica che, nel rispetto del ruolo tecnico della RGS e dell’autonomia delle università, garantisca condizioni uniformi a tutti gli assegnisti che lavorano in Italia e assicuri la dignità e la sicurezza del loro lavoro di ricerca, a maggior ragione poiché si tratta di lavoratori strutturalmente precari.

 

Incentivi per le spese in ricerca e sviluppo

Oltre alle misure previste per dottorandi e assegnisti, la bozza del DL Rilancio prevede anche alcune misure per incentivare le attività di ricerca e sviluppo nelle imprese italiane. Si tratta di misure contenute nell’art. 234 e che coinvolgono le regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. La norma nella sua formulazione attuale prevede un aumento del credito d’imposta dal 12 al 25 per cento per le grandi imprese, dal 12 al 35 per cento per le medie imprese, e dal 12 al 45 per cento per le piccole imprese. Si potrà usufruire del credito d’imposta per progetti di ricerca e sviluppo anche in materia di Covid-19. Pur trattandosi di un segnale apprezzabile, riteniamo che sia insufficiente per tre ordini di motivi. Innanzitutto, sottolineamo il bisogno di incentivare le attività di R&S riguarda l’intero sistema Paese - e quindi non solo i territori previsti nel decreto - e la necessità, che abbiamo espresso in più occasioni, di riconoscere un ruolo di assoluta centralità alla ricerca scientifica in tutti i settori della produzione di beni e servizi. In secondo luogo, si tratta di incentivi largamente insufficienti dal punto di vista della loro entità. Consideriamo doveroso mostrare maggior coraggio nel dare alla ricerca lo spazio e le risorse per contribuire nel modo più efficace allo sviluppo delle attività di produzione. Inoltre, riteniamo soprattutto in una fase emergenziale come quella che stiamo, non sia possibile prescindere dalla necessità di riconoscere il ruolo fondamentale che i dottori di ricerca, attraverso misure sistemiche concrete. Mancano ad esempio misure volte a condizionare simili incentivi all’assunzione di chi si è già formato alla ricerca come chi ha conseguito un dottorato, riservando a tali individui almeno una quota di assunzioni fatte nell’ambito della spesa per le attività di ricerca e sviluppo. 

In definitiva, pur riconoscendo che, a seguito delle svariate iniziative che come ADI abbiamo messo in campo per portare all’attenzione del Ministero le necessità dei dottorandi e dei precari della ricerca (tra cui una petizione che in due settimane ha raggiunto 10 mila firme), il MUR ha aperto un canale di ascolto, riteniamo che queste misure, qualora fossero confermate, siano decisamente insufficienti. Continueremo a monitorare eventuali aggiornamenti e lavoreremo affinché nessuna categoria di precari venga lasciata indietro nella fase emergenziale che stiamo attraversando.

 
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