Approvata la riforma del Dottorato. Il nostro commento al DM 226/2021

Il 29 dicembre scorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il Decreto Ministeriale 14 dicembre 2021 n. 226, recante le nuove modalità di accreditamento delle sedi e dei corsi di dottorato e i criteri per l’istituzione dei corsi di dottorato da parte degli enti accreditati. 

Questo decreto modifica le precedenti disposizioni in materia di dottorato di ricerca contenute nel DM 45/2013, di cui più volte, in passato, abbiamo evidenziato criticità e limitazioni, sia pubblicamente che nelle occasioni di incontro con le istituzioni (https://dottorato.it/content/senza-borsa-tasse-valorizzazione-24-cfu-le-nostre-sfide-la-riforma-del-dottoratohttps://dottorato.it/content/una-proposta-la-riforma-del-dottorato-di-ricerca-italiahttps://dottorato.it/content/programma-adi-2019-cnsu).  

Il nuovo testo giunge ad un anno dalla proposta di riforma del DM 45/2013 che l’allora ministro dimissionario Gaetano Manfredi aveva tentato di far approvare senza avviare l’indispensabile dialogo con le categorie coinvolte e a pochi giorni dalla formazione del nuovo Governo. I fatti risalgono al 29 gennaio 2021, quando il Consiglio Nazionale degli Studenti Universitari (CNSU), aveva ricevuto una nota del Ministro dell’Università e della Ricerca, datata 19 gennaio 2021, con la richiesta urgente di un parere in merito alla bozza di riforma del DM 45/2013 in materia di dottorato di ricerca. In quell’occasione, attraverso il rappresentante nazionale dei dottorandi in CNSU, Giuseppe Naglieri, avevamo espresso la nostra contrarietà ad una proposta che, nel suo complesso, denotava una mancanza totale di attenzione ai diritti, alla formazione, alla questione della retribuzione e avevamo ottenuto un rinvio del parere del CNSU, riuscendo così ad impedire l’approvazione in extremis del testo.

Successivamente, con l’insediamento del nuovo Governo, abbiamo avviato un dialogo con la Ministra Messa e illustrato le nostre proposte in merito alla riforma del dottorato di ricerca nel corso di diversi incontri, sia formali che informali, cui il nostro rappresentante in CNSU ha avuto modo di partecipare. La bozza del Decreto Ministeriale predisposta dall’ANVUR e inviata al CNSU per un parere ci aveva positivamente impressionato, tanto da portarci a esprimere parere favorevole al testo.

Il testo del nuovo decreto ministeriale accoglie alcune di queste proposte, frutto di battaglie storiche dell’ADI. Restano tuttavia molti punti critici e nodi da sciogliere, nonché alcuni significativi arretramenti rispetto alla bozza su cui avevamo avuto modo di intervenire in CNSU: punti critici, arretramenti e perplessità che vogliamo commentare, insieme alle principali novità.

Complessivamente, riteniamo che gli elementi di maggiore interesse del nuovo testo siano la riduzione del numero di borse necessarie alla costituzione di un corso di dottorato, favorendo così corsi più piccoli e specifici in luogo dei cd. “mega-dottorati”, la presenza di una forma di flessibilità in uscita dal dottorato, nonché la revisione della disciplina dei fondi di ricerca del 10%, che sono resi accessibili fin dal primo anno di dottorato a tutti, percettori di borsa e non. 

Vengono meno, invece, alcuni aspetti che qualificavano positivamente la bozza ANVUR, quali il definitivo e pieno superamento dei dottorati senza borsa, nonché l’agganciamento della borsa di dottorato al minimale contributivo INPS, la rivalutazione annua della borsa all’indice dei prezzi al consumo, una tutela piena di maternità e paternità.

Come chiaramente espresso nell’articolo 18, d’altronde, l’attuazione del regolamento non doveva comportare «nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Se il dottorato deve essere, come recita il decreto, «un impegno esclusivo e a tempo pieno», non si può eludere la questione salariale: il dottorato, in Italia, prevede una retribuzione ben lontana dagli standard correnti nel resto d’Europa, che non permette una piena autonomia del dottorando rispetto ai relativi nuclei familiari, al cui sostegno deve ricorrere per ogni spesa straordinaria o per mantenersi per quei mesi in cui l’Ateneo decide di posporre l’erogazione della borsa. Non si può pensare di affrontare la questione della condizione materiale delle dottorande e dei dottorandi di ricerca in Italia, senza un adeguato stanziamento di bilancio.

Dalla lettura del decreto, inoltre, emerge prepotente il sempre più pervasivo ruolo dei soggetti privati nel dottorato di ricerca: fin dal primo articolo si esplicita un orientamento professionalizzante sempre più marcato del dottorato di ricerca, con un’attenzione a tratti eccessiva riservata all’inserimento nel mondo del lavoro privato e nella pubblica amministrazione, un’attenzione rimarcata anche al terzo comma lettera c, dove si prevede, richiede e incentiva la partecipazione di enti terzi nella definizione del percorso formativo del dottorando. Il Manuale di Frascati, d’altronde, così come molti degli atti di indirizzo richiamati nella premessa al testo del Decreto, guardano al ricercatore come ad un project manager dell’innovazione, con uno spiccato accento al trasferimento tecnologico nell’ambito dei grandi piani di intervento nazionale. Curiosamente, rispetto alla bozza scompare, nel primo articolo, l’indipendenza e l’autonomia cui mira (o dovrebbe mirare) la ricerca dottorale. Se è auspicabile e da accogliere positivamente l’attenzione riservata al riconoscimento del titolo di dottore di ricerca nella pubblica amministrazione e nel settore privato, non si può non rilevare come il dottorato non debba diventare un momento di formazione-lavoro esclusivamente piegato alla necessità di questi datori di lavoro di acquisire manodopera specializzata. In questo senso, è da apprezzare positivamente, nell’equilibrio del rapporto tra dottorando e impresa privata con cui si attiva un partenariato o una collaborazione, il fatto che si preveda che l’impresa consorziata debba, come prerequisito, svolgere una «qualificata attività di ricerca e sviluppo», prevedendo quindi, auspicabilmente, un mutuo arricchimento tra il dottorando e l’impresa e non un rapporto asimmetrico e squilibrato.

Questa attenzione al discorso produttivo e al trasferimento tecnologico riecheggia poi nella puntuale disposizione del dottorato innovativo e, soprattutto, del dottorato di interesse nazionale disposto nell’ambito del PNRR, una vera e propria fattispecie a sé stante, sia per il numero di borse previsto (almeno trenta), sia per i meccanismi di attuazione e il quadro speciale in cui si inseriscono.

Nel seguito, analizzeremo più nel dettaglio gli articoli che introducono le principali novità già menzionate.

 

ART. 4 (Requisiti per l’accreditamento dei corsi e delle sedi di dottorato di ricerca  )

Le borse necessarie per la costituzione di un corso di dottorato sono ridotte ad un valore medio di quattro borse per ciascun ciclo di dottorato, fermo restando che il numero minimo di borse bandite sia pari a tre.

Nel caso di dottorati attivati in consorzio  tra  due soggetti, il numero minimo di borse da finanziare è di quattro, mentre con tre soggetti o più la sede amministrativa è tenuta a finanziare  almeno due borse e gli altri partecipanti al consorzio almeno una borsa ciascuno.

La riduzione del numero di borse necessarie per costituire un corso di dottorato si accompagna alla riduzione del numero di docenti facenti parte del collegio di dottorato, che devono essere dodici, di cui almeno la metà scelti tra  docenti di prima e seconda fascia, mentre gli altri possono essere ricercatori/trici, purché in possesso dei requisiti per l’abilitazione a professore di II fascia.

In generale, questa disposizione sulle borse di studio risponde alla possibilità di mettere in campo dei corsi di dottorato più specifici, di ambito più definito, anche ai sensi dell’art. 6 comma 2, secondo cui gli ambiti tematici del dottorato debbano essere certo ampi, ma anche chiaramente definiti. La norma può essere dunque considerata globalmente positiva, soprattutto nell’ottica di ridurre la presenza dei cosiddetti Mega Dottorati (nati prevalentemente per mantenere, a livello di ateneo, il numero medio di sei borse previsto dal D.M. 45/2013) che troppo spesso non consentono di valorizzare le peculiarità di taluni settori scientifico-disciplinari nella gestione delle attività formative, nella direzione delle tesi e  nella composizione delle commissioni per l’esame finale.

ART. 8 (Modalità di accesso ai corsi di dottorato e di conseguimento del titolo)

In questo articolo, ai commi 6 e 7,  si ha uno dei veri risultati importanti del decreto, ossia l’introduzione  di un meccanismo ordinario e ordinato di proroga del dottorato. Nello specifico si prevede quanto segue: 

Comma 6.  Per comprovati motivi che non consentono la presentazione della tesi di dottorato nei tempi previsti dalla durata del corso, il collegio dei docenti può concedere, su richiesta del dottorando, una proroga della durata massima di dodici mesi, senza ulteriori oneri finanziari

Comma 7. Una proroga della durata del corso di dottorato per un periodo non superiore a dodici mesi può essere, altresì, decisa dal collegio dei docenti per motivate esigenze scientifiche, secondo modalità definite dai regolamenti di ateneo, assicurando in tal caso la corrispondente estensione della durata della borsa di studio con fondi a carico del bilancio dell’ateneo

La reintroduzione di un certo grado  di flessibilità in uscita è certamente da accogliere positivamente e risponde alle richieste che, come ADI, avanziamo da sempre. Tuttavia, la previsione di una proroga della durata massima di dodici mesi senza percezione della borsa di studio, solleva legittime criticità: come abbiamo più volte ribadito in ogni documento prodotto nel corso della crisi pandemica, qualsivoglia misura di proroga deve essere coperta da borsa di studio. È la natura stessa del lavoro di ricerca che impone una visione flessibile del percorso di dottorato e soprattutto della sua fase conclusiva nella quale, per ragioni le più disparate, occorre un supplemento temporale per la raccolta e l'elaborazione finale di taluni dati. Proprio in ragione della natura potenzialmente non continuativa del lavoro di ricerca occorre guardare alla misura di proroga con un’ottica non punitiva e contestualmente consentire che l’intera attività di ricerca, fino alle fasi finali di redazione della tesi, si svolga nelle condizioni più favorevoli possibili per il dottorando, soprattutto sul piano delle condizioni materiali di lavoro, garantendo la copertura finanziaria anche per il periodo di proroga.  

Evidenziamo, inoltre, l’eccessiva ambiguità dei due percorsi proposti di accesso alla proroga, dato che il collegio dei docenti può riservarsi di disporre una proroga retribuita fino a un massimo di dodici mesi, a valere su risorse di Ateneo, oppure di una proroga non retribuita. Il discrimine tra il primo e il secondo caso andrà chiarito e non può essere, a nostro avviso, demandato  ai regolamenti di Ateneo. Occorrerebbe garantire un trattamento uniforme delle ipotesi di proroga, con unico canale di accesso, su richiesta del dottorando, con motivazioni e procedure uniformi

 

ART 9. (Borse di studio)

Rispetto alla bozza dell’ANVUR, nel testo finale del decreto restano i dottorati senza borsa, di cui si stabilisce la proporzione massima in ragione di un posto senza borsa ogni tre borse: il 25% dei posti di dottorato, dunque, può essere senza borsa. Ad oggi il tasso di posti banditi senza borsa è del 16.90% (Dati CINECA, 2018) pertanto non possiamo fare a meno di notare la scarsa sensibilità del Ministero su questo tema. Il dottorato senza borsa, oltre ad essere non conforme ai princìpi della Carta Europea dei Ricercatori, pur richiamata dal nuovo Decreto nel suo preambolo, pone gravi e macroscopiche criticità in termini di dignità del lavoro: la ricerca è lavoro e come tale deve essere retribuita. La riforma del DM 45/2013 avrebbe potuto rappresentare un’occasione storica per rimuovere questo intollerabile margine di differenziazione interna alla categoria dei dottorandi di ricerca, eliminando i dottorati senza borsa e ponendo le basi per uno sforzo serio di investimento pubblico volto a finanziare tutti i posti messi a concorso, poiché la soppressione dei dottorati senza borsa non può determinare una contrazione complessiva dei posti banditi. 

Nel testo finale manca anche ogni forma di aggancio della borsa di dottorato al minimale contributivo INPS, come era stato invece esplicitato nella bozza dell’ANVUR, così come è venuta meno la previsione che disponeva la rivalutazione annuale dell’importo della borsa all’indice dei prezzi al consumo, due elementi che rendevano la bozza ANVUR qualificante. L’importo minimo della borsa è quindi rimesso ad una definizione successiva attraverso un decreto del Ministro.

Dal testo del decreto è stato rimosso l’esplicito riferimento della bozza alla modalità di erogazione della borsa in rate mensili anticipate: si lascia quindi alla piena arbitrarietà degli Atenei la gestione dei flussi di cassa relativi all’erogazione delle borse di studio.

È invece apprezzabile l’estensione del budget di ricerca a disposizione di ogni dottorando, borsista e non, di un importo minimo pari al 10% della borsa, che sarà reso accessibile sin dal primo anno di corso. Restano le ambiguità sulle forme di erogazione del budget stesso, demandate ai singoli regolamenti di missione dei vari Atenei e quindi con un grado significativo di eterogeneità sul territorio nazionale, ambiguità su cui avevamo già espresso la nostra perplessità nel testo del parere redatto in CNSU sulla bozza del decreto. E' per questo che ci metteremo fin da subito al lavoro per spingere il Ministero a regolamentare le modalità di accesso al budget con un'apposita circolare.

ART. 11 (Dottorati di interesse nazionale)

Il decreto include la previsione dei dottorati di interesse nazionale, disposti e banditi nell’ambito dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e del Piano Nazionale della Ricerca 2021-2027. 

Il quadro in cui si inseriscono questi dottorati di interesse nazionale, che prevedono un numero di borse significativo (almeno trenta) e una progettazione in consorzio tra più università, enti di ricerca e soggetti privati che svolgano qualificata attività di ricerca, è peculiare e differente da quello di un normale dottorato di ricerca, tanto da lasciar pensare che rappresentino una fattispecie a sé stante.

 

ART. 12 (Diritti e doveri dei dottorandi)

Rispetto alla bozza dell’ANVUR, cambiano anche le disposizioni a tutela di maternità e paternità. Innanzitutto, sono esplicitate solo in questo articolo e non anche all’articolo sulla durata del dottorato e conseguimento del titolo (art. 8, 7 della bozza). Inoltre, la bozza specificava che le disposizioni di tutela della genitorialità erano rivolte esplicitamente a dottorande e dottorandi, prevedendo quindi esplicitamente un’inedita e apprezzabilissima forma di tutela e sostegno alla paternità, e che il periodo di congedo di sei mesi non interrompeva il diritto alla borsa di studio, mentre sembra che la disciplina adombrata nell’art. 12 al comma 7 resti quella attuale, ossia la maternità retribuita dall’INPS, senza alcun riferimento alla paternità.